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Curiosità

Il Monopattino Elettrico: Storia, Innovazione e Impatto sulla Mobilità Urbana

monopattino elettrico

Il monopattino elettrico è diventato negli ultimi anni uno dei mezzi di trasporto più popolari nelle città di tutto il mondo. Pratico, ecologico e facile da usare, rappresenta una soluzione ideale per spostamenti brevi, soprattutto in contesti urbani congestionati dal traffico. Ma chi ha inventato il monopattino elettrico, e come è diventato così diffuso? Esploriamo la storia di questo innovativo mezzo di trasporto e il suo impatto sulla mobilità moderna.

Le Origini del Monopattino Elettrico

La storia del monopattino elettrico inizia più di un secolo fa, con le prime versioni dei monopattini tradizionali. Tuttavia, l’integrazione di un motore elettrico è un fenomeno relativamente recente.

Il primo vero antenato del monopattino elettrico è il “Autoped”, un dispositivo motorizzato sviluppato negli Stati Uniti e brevettato nel 1915. L’Autoped aveva un piccolo motore a combustione interna montato sulla ruota anteriore ed era utilizzato per brevi spostamenti, soprattutto nelle città. Nonostante fosse innovativo per l’epoca, l’Autoped non ebbe un grande successo commerciale e fu presto dimenticato.

L’Innovazione e la Rinascita

L’idea di un monopattino motorizzato non scomparve mai del tutto, ma ci vollero decenni prima che il concetto venisse rivisitato con l’avvento della tecnologia delle batterie ricaricabili. È negli anni ’90 che si vedono i primi tentativi di sviluppare monopattini elettrici moderni, ma è solo nel 2009 che vediamo un vero e proprio punto di svolta.

Gino Tsai, un imprenditore taiwanese e CEO della società Razor USA, è spesso accreditato come uno dei pionieri del moderno monopattino elettrico. Nel 2000, la sua azienda lanciò il famoso monopattino Razor, un modello non elettrico che divenne rapidamente un fenomeno globale. Nel 2009, Razor introdusse una versione elettrica, che segnò l’inizio di una nuova era per questo mezzo di trasporto.

Il vero boom del monopattino elettrico, tuttavia, è avvenuto intorno al 2017, quando diverse startup, soprattutto negli Stati Uniti, hanno iniziato a sviluppare e lanciare servizi di condivisione di monopattini elettrici, tra cui Bird e Lime. Queste aziende hanno reso i monopattini elettrici accessibili a milioni di persone, trasformandoli in un simbolo della mobilità urbana sostenibile.

L’Impatto sulla Mobilità Urbana

Il monopattino elettrico ha rivoluzionato la mobilità urbana in molti modi. Innanzitutto, ha reso più facili e veloci gli spostamenti su brevi distanze, riducendo la dipendenza dalle automobili e contribuendo a diminuire l’inquinamento e la congestione del traffico. È particolarmente apprezzato da chi deve percorrere “l’ultimo miglio”, ossia la distanza tra la fermata del trasporto pubblico e la destinazione finale.

Inoltre, la diffusione dei monopattini elettrici ha spinto le città a ripensare l’infrastruttura urbana, creando piste ciclabili dedicate e regolamenti specifici per garantire la sicurezza dei pedoni e degli stessi utilizzatori di monopattini.

Sicurezza e Regolamentazione

Nonostante i vantaggi, l’uso massiccio dei monopattini elettrici ha sollevato anche alcune preoccupazioni. In molte città, l’aumento degli incidenti ha portato alla necessità di regolamentare meglio l’uso di questi mezzi. Alcune città hanno introdotto limiti di velocità, obblighi di casco e aree dedicate per il parcheggio, nel tentativo di integrare in modo sicuro i monopattini nella vita urbana.

Il monopattino elettrico rappresenta una delle innovazioni più significative nella mobilità urbana degli ultimi decenni. Grazie alla sua praticità e al basso impatto ambientale, ha conquistato un posto di rilievo nelle città di tutto il mondo. Sebbene ci siano ancora sfide da affrontare, soprattutto in termini di sicurezza e regolamentazione, il futuro del monopattino elettrico appare luminoso, con sempre più persone che lo scelgono come mezzo di trasporto preferito per i loro spostamenti quotidiani.

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SAI CHE…E’ importantissimo respirare col naso? Ecco perchè

Respirare con il naso è importante: prima di arrivare ai polmoni, l’aria che entra nelle narici viene filtrata, umidificata e termoregolata in modo da raggiungere la temperatura di 35 gradi, ideale per la funzionalità respiratoria e polmonare e tutto questo avviene proprio grazie alla specifica struttura del naso. Durante l’inspirazione, i piccoli peli che si trovano all’interno delle narici e il sistema mucociliare simulano il rilascio di molecole antibatteriche, una vera e propria barriera protettiva che abbatte la carica di polveri e batteri presenti nell’aria prima che arrivi agli alveoli polmonari.

Sono alcuni dei temi trattati dall’otorinolaringoiatra Giovanni Felisati, intervistato da Marco Klinger, per Medicina Top, format tv dell’agenzia di stampa Italpress. “E’ importante respirare col naso perchè l’aria che noi respiriamo viene termoregolata dalle strutture nasali e quindi arriva in migliori condizioni ai bronchi, che necessitano di avere un’aria filtrata e termoregolata. Ma il naso serve anche perchè ha una funzione estetica al centro della faccia, ha una funzione olfattiva che oggi è sempre più importante, ha una funzione di difesa perchè fa da filtro”.

Respirare con la bocca, “ad esempio per un bambino, determina un’alterazione di sviluppo del palato. Ma tutti noi respirando male, viviamo male: probabilmente abbiamo un cattivo sonno e una cattiva qualità della vita”, ha spiegato. “Un naso che sta bene deve essere una via di mezzo fra un tunnel in cui l’aria passa completamente libera e un termosifone. Dobbiamo volere che il nostro naso respiri bene, per avere una migliore qualità della vita e anche in prospettiva per avere una longevità sana”.

Può succedere che, col passare dell’età, una persona possa respirare peggio? “Sulla respirazione ci sono tante cose che possono impattare, l’unica soluzione è capire dov’è il problema”, ha sottolineato. Sulle abitudini quotidiane, “oggi si parla sempre di più dei lavaggi nasali: non credo che tutti si debbano lavare il naso, però quando c’è un problema tenerlo pulito è una buona cosa e, se c’è un’allergia, bisogna curarlo. Se invece ci sono delle anomalie anatomiche, forse la chirurgia è meglio farla prima e non dopo”.

– Fonte foto: Freepik –

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Sai quale parte del Cervello Stimola la Curiosità?

Un team di ricercatori della Columbia University ha fatto una scoperta significativa riguardo alla curiosità umana, identificando per la prima volta le aree del cervello coinvolte in questo fondamentale impulso. Utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI), gli scienziati hanno analizzato i livelli di ossigeno nelle diverse regioni cerebrali per misurare l’attività durante l’esperimento.

Durante lo studio, 32 partecipanti hanno osservato immagini distorte di oggetti e animali familiari, chiamate texforms, e hanno valutato la loro curiosità e fiducia nell’identificazione di tali immagini. Incrociando le valutazioni dei partecipanti con le scansioni fMRI, i ricercatori hanno identificato un’attività significativa in tre aree principali del cervello:

  1. Corteccia Occipitotemporale: Associata alla visione e al riconoscimento.
  2. Corteccia Prefrontale Ventromediale (vmPFC): Coinvolta nella percezione di valore e fiducia.
  3. Corteccia Cingolata Anteriore: Responsabile della raccolta di informazioni.

La vmPFC svolge un ruolo cruciale come “ponte” tra la certezza percepita dalla corteccia occipitotemporale e la sensazione di curiosità, agendo come un grilletto che stimola il desiderio di esplorare. I ricercatori hanno osservato che maggiore era l’incertezza sui soggetti mostrati, maggiore era la curiosità dei partecipanti. Questo suggerisce che l’input percettivo viene elaborato attraverso rappresentazioni neurali fino a evocare curiosità.

La scoperta non solo aiuta a comprendere meglio il funzionamento del cervello umano, ma potrebbe anche facilitare lo sviluppo di terapie per condizioni come la depressione cronica, dove la curiosità e l’esplorazione sono spesso compromesse. I ricercatori sono interessati ad esplorare ulteriormente la curiosità generale, sociale e scientifica, approfondendo le sue origini biologiche e i suoi effetti sul comportamento umano.

Jacqueline Gottlieb, neuroscienziata coinvolta nello studio, sottolinea che la curiosità umana ha “origini biologiche profonde” e che “quello che distingue la curiosità umana è la nostra spinta a esplorare molto più ampiamente rispetto ad altri animali, spesso solo per il piacere di scoprire.”

Questa ricerca offre nuove prospettive sul modo in cui la curiosità emerge e viene stimolata, con potenziali applicazioni nel miglioramento della nostra comprensione della mente umana e nella creazione di interventi terapeutici mirati.

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LO SAI CHE…Beethoven perse l’udito a causa del…vino

L’analisi di due ciocche di capelli del compositore Ludwig van Beethoven ha rivelato livelli estremamente alti di piombo, una sostanza presente nel vino che egli beveva, presumibilmente consumando una bottiglia al giorno. Questo avvelenamento da piombo probabilmente ha contribuito alla perdita dell’udito e ai problemi di salute che Beethoven ha sperimentato durante la sua vita.

Uno studio recente, condotto da ricercatori della Mayo Clinic e di Harvard, ha esaminato attentamente due ciocche di capelli autenticati appartenenti a Beethoven. Utilizzando la spettrometria di massa, gli studiosi hanno confermato la presenza di livelli significativamente elevati di piombo nelle ciocche, oltre ai livelli aumentati di arsenico e mercurio. Questi risultati suggeriscono che il compositore potesse avere nel suo sangue livelli di piombo sufficientemente alti da causare disturbi gastrointestinali, renali e riduzione dell’udito, ma non abbastanza da essere una causa diretta della sua morte.

È noto che Beethoven fosse un grande consumatore di vino, bevendo approssimativamente una bottiglia al giorno. Tuttavia, il vino dell’epoca era spesso conservato in recipienti contenenti piombo, e Beethoven, come molti altri, usava il diacetato di piombo per addolcire il vino. Questa pratica potrebbe aver contribuito all’avvelenamento da piombo che ha afflitto il compositore.

Sebbene sia chiaro che Beethoven abbia sofferto a causa dell’avvelenamento da piombo, la causa esatta della sua morte rimane oggetto di dibattito. Alcune prove suggeriscono che potrebbe essere stata influenzata dalla sua presunta epatite B, una malattia per la quale aveva fattori di rischio genetici, insieme all’abuso di alcolici. Questo potrebbe aver contribuito alla cirrosi epatica diagnosticata al momento della sua morte.

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