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Curiosità

SAI CHE… esiste una Tassa sulle Flatulenze del Bestiame?

A partire dal 2030, la Danimarca imporrà una tassa sulle emissioni di gas serra prodotte dal bestiame, come mucche, pecore e suini. Gli allevatori dovranno pagare 300 corone (circa 40 euro) per ogni tonnellata di anidride carbonica equivalente emessa, cifra che salirà a 750 corone (circa 100 euro) entro il 2035. Grazie a una detrazione fiscale del 60%, il costo effettivo per tonnellata partirà da 120 corone (circa 16 euro) e aumenterà fino a 300 corone nel 2035.

Questa misura è parte di un piano per ridurre le emissioni di metano, che sono aumentate rapidamente dal 2020 e di cui il bestiame rappresenta circa il 32% delle emissioni globali causate dall’uomo, secondo il Programma Ambientale delle Nazioni Unite. Una tipica vacca danese produce circa sei tonnellate di CO2 equivalente all’anno. Al 30 giugno 2022, in Danimarca c’erano 1.484.377 mucche, secondo Statistic Denmark.

Il ministro Bruus ha dichiarato che questa iniziativa rappresenterà un grande passo verso la neutralità climatica entro il 2045, e che la Danimarca sarà il primo paese al mondo a introdurre una tassa sulla CO2 in agricoltura. L’obiettivo è ridurre del 70% le emissioni di metano rispetto ai livelli del 1990, nella speranza che altre nazioni seguano questo esempio.

Attualità

Inquinamento | I Bambini cresceranno di meno: è colpa degli Interferenti Endocrini

Gli interferenti endocrini sono sostanze inquinanti come ftalati, bisfenolo, PFAS e perclorati, capaci di alterare il funzionamento del sistema endocrino umano. Questo sistema complesso regola molte funzioni corporee attraverso ghiandole e ormoni. Nonostante l’implementazione di leggi sempre più rigide, questi composti sono presenti in numerosi prodotti di uso quotidiano e i loro effetti sulla salute umana non sono ancora del tutto compresi.

Origini e Effetti degli Interferenti Endocrini

Gli interferenti endocrini sono comuni in materiali industriali come plastica, materiali da costruzione, cosmetici, pesticidi e contenitori alimentari. Non è la loro composizione chimica o la provenienza a unirli, ma il loro impatto sulla salute: interferiscono con il sistema endocrino umano, imitando o bloccando l’azione degli ormoni naturali.

Secondo la Endocrine Society americana, ci sono circa 85.000 composti chimici prodotti dall’uomo, di cui più di mille potrebbero agire come interferenti endocrini. Tra i più studiati ci sono atrazine, bisfenolo A (BPA), diossine, PFAS e ftalati. Queste sostanze possono aumentare il rischio di sviluppare disturbi riproduttivi, diabete e potenzialmente alcuni tipi di cancro in caso di esposizione elevata.

Impatti sui Bambini e nei Primi Mille Giorni di Vita

Nei bambini, soprattutto durante i primi mille giorni di vita (dal concepimento ai due anni di età), l’esposizione agli interferenti endocrini è particolarmente preoccupante. Durante questa fase critica dello sviluppo, queste sostanze possono interferire con la crescita fisica e neurologica normale, aumentando il rischio di malattie cardiometaboliche e altri disturbi che possono persistere nella vita adulta.

Secondo Sergio Bernasconi, esperto di pediatria, l’esposizione agli interferenti endocrini può influenzare il sistema GH-IGF-1, cruciale per la crescita staturale dei bambini. Questi composti possono anche passare dalla madre al feto attraverso la placenta, potenzialmente danneggiando lo sviluppo fetale ancor prima della nascita.

Raccomandazioni per la Prevenzione

Nonostante la diffusione ubiquitaria degli interferenti endocrini nei prodotti industriali, ci sono passi che possono essere intrapresi per ridurre l’esposizione, specialmente durante la gravidanza e nei primi mesi di vita dei neonati. Preferire materiali e prodotti naturali può essere una scelta prudente per proteggere la salute durante questa fase critica di sviluppo.

In conclusione, mentre la ricerca continua a studiare gli effetti degli interferenti endocrini, è fondamentale adottare precauzioni per limitare l’esposizione, soprattutto nei bambini, per garantire una crescita e uno sviluppo sani.

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Curiosità

Scoperta Archeologica Insolita: Il Mistero della Città Sommersa di Atlantide Risolto?

Archeologi e ricercatori hanno fatto una scoperta straordinaria nelle acque del Mar Mediterraneo, al largo delle coste della Grecia. Un team internazionale di esperti, guidato dal professor Dimitrios Kallimanis dell’Università di Atene, ha annunciato di aver identificato resti sommersi di antiche strutture cittadine che potrebbero essere legate alla leggendaria città di Atlantide.

Secondo quanto riportato, il sito archeologico è stato scoperto durante una spedizione subacquea nel Golfo di Corinto. Le immagini e i dati preliminari raccolti suggeriscono la presenza di edifici sommersi, strade lastricate e frammenti di ceramica che risalgono a un’epoca risalente a circa 9.000 anni fa.

Il professor Kallimanis, entusiasta della scoperta, ha dichiarato: “Questi ritrovamenti sono estremamente significativi. Siamo ancora nelle prime fasi dell’indagine, ma le prove preliminari suggeriscono che potremmo aver scoperto una città perduta di notevole importanza storica e culturale.”

La leggenda di Atlantide, descritta da Platone nei suoi dialoghi, ha affascinato generazioni di studiosi e appassionati di storia. Secondo il racconto di Platone, Atlantide era una civiltà avanzata che scomparve improvvisamente e misteriosamente sotto le acque dell’oceano. Questa scoperta potrebbe finalmente gettare nuova luce su uno dei misteri più affascinanti della storia antica.

Tuttavia, gli esperti rimangono cauti e sottolineano che è necessario condurre ulteriori ricerche e analisi per confermare definitivamente l’identità della città sommersa. L’equipe di ricerca prevede di utilizzare tecnologie avanzate di imaging subacqueo e di effettuare scavi archeologici dettagliati per esplorare ulteriormente il sito.

La comunità scientifica e il pubblico internazionale attendono con ansia ulteriori aggiornamenti da questa entusiasmante scoperta che potrebbe riscrivere parte della storia antica dell’umanità.

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Curiosità

LO SAI CHE…L’omosessualità nei Mammiferi è Molto più Diffusa?

Una delle idee più comuni, e sbagliate, riguardo l’omosessualità umana è che si tratti di un comportamento “non naturale”, una costruzione sociale. Spesso, quando si parla di omosessualità nel regno animale, si citano solo pochi esempi noti, come i macachi e i pinguini. Tuttavia, un nuovo studio pubblicato su PLOS One, focalizzato sui mammiferi, vuole sfatare questo mito e dimostrare che l’omosessualità è molto più diffusa in natura di quanto si creda.

Il problema principale risiede nei ricercatori stessi, che tendono a ignorare e non riportare i comportamenti omosessuali osservati nei loro studi. Questo porta a una percezione distorta della loro diffusione. Lo studio ha coinvolto 65 ricercatori che lavorano su 52 diverse specie di mammiferi, principalmente primati. Il 77% di loro ha dichiarato di aver osservato comportamenti omosessuali, ma solo il 48% ha raccolto dati a riguardo, e appena il 19% ha pubblicato questi risultati.

Omosessualità Non Dichiarata

Questo comportamento censurato si manifesta in molte specie di cui non si conoscevano le abitudini sessuali, come scoiattoli, manguste, il coati rosso e l’eterocefalo glabro. I risultati dello studio indicano che l’omosessualità tra i mammiferi è molto diffusa, contrariamente a quanto si pensava.

La discrepanza tra la percezione dell’omosessualità in natura e la sua effettiva presenza ha alimentato convinzioni errate, come l’idea che l’omosessualità negli esseri umani sia “non naturale”. In realtà, trovare una specie completamente eterosessuale è più raro di quanto si creda.

Oltre i Mammiferi

Gli esperti, intervistati dal Guardian, hanno confermato che l’omosessualità è diffusa in tutto il regno animale, dalle seppie ai ragni. Questi risultati supportano teorie recenti che sfidano il cosiddetto “paradosso darwiniano”: l’idea che l’omosessualità non abbia vantaggi evolutivi. In realtà, sempre più studi dimostrano i benefici del sesso con un compagno dello stesso genere, evidenziando che l’omosessualità potrebbe avere un ruolo evolutivo significativo.

In conclusione, questo studio suggerisce che l’omosessualità è un comportamento naturale e diffuso in molte specie animali, e che la nostra comprensione di essa è stata limitata da una mancanza di ricerca e pubblicazione su questi comportamenti.

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