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Scienza e Salute

Un Nuovo Esame per Diagnosticare l’Alzheimer: preciso al 90%

Un innovativo esame del sangue, denominato Amyloid Probability Score 2 (APS2), promette di rivoluzionare la diagnosi dell’Alzheimer. Questo test è stato sviluppato da un team internazionale di ricercatori e testato in Svezia tra il 2020 e il 2024 su oltre 1.200 persone con sintomi lievi di perdita di memoria.

Il test APS2 valuta il rapporto tra proteine tau fosforilate e non fosforilate, insieme ai livelli di beta-amiloide 42 e beta-amiloide 40, biomarcatori associati all’Alzheimer. I risultati hanno mostrato che il test può diagnosticare la perdita di memoria con una precisione del 90%, superando di gran lunga le attuali metodologie diagnostiche, che raggiungono un’accuratezza del 61% nelle diagnosi dei medici di base e del 73% nelle valutazioni specialistiche.

Lo studio, pubblicato su JAMA Network, evidenzia non solo l’elevata affidabilità del test, ma anche la sua praticità: l’esame viene eseguito su un singolo campione di sangue, rendendolo rapido e non invasivo. Questo potrebbe facilitare la diagnosi precoce di Alzheimer, consentendo un intervento tempestivo con trattamenti che rallentano la progressione della malattia.

Attualmente, il test è disponibile in Svezia e negli Stati Uniti e si prevede che sarà presto introdotto in altri Paesi. Inizialmente verrà utilizzato nelle cliniche specializzate per la memoria, con l’obiettivo di essere integrato nell’assistenza primaria entro uno o due anni. La diagnosi precoce è cruciale, soprattutto considerando che l’Alzheimer colpisce una donna su cinque e un uomo su dieci, con circa 55 milioni di persone affette da demenza nel mondo.

Scienza e Salute

Piano Cronicità, Salutequità “Fondi e tempi certi o resterà sulla carta”

Piano nazionale Cronicità (PNC): nell’aggiornamento all’esame delle Regioni sono necessari sei passaggi perchè il documento sia davvero efficace per i 24 milioni di italiani affetti da una o più patologie croniche.
Per i quali si spende circa l’80% della spesa sanitaria. Stando a proiezioni Istat, poi, nel 2028 si spenderanno 70,7 miliardi di euro per curare le persone con cronicità. Semplificazione, temporalità chiara, monitoraggio forte, fondi e integrazione altre patologie per garantire equità e effettività sono gli aspetti da migliorare nel documento e l’Osservatorio di Salutequità in una sua analisi spiega come fare.

Dovrebbe essere facilitata la lettura e la comprensione con un testo unico sulla cronicità. La bozza trasmessa alle Regioni è un testo di aggiornamento, ma non è stato integrato con il Piano del 2016 e quindi obbliga -per avere il quadro chiaro- alla realizzazione di un testo integrato tra quello del 2016 e quello che potrebbe essere varato nel 2024.
Occorre assicurare e definire una temporalità. Tutti gli altri piani hanno una data di inizio e una di fine per offrire agli attori che debbono implementarlo, verificarlo, utilizzarlo, di programmare i tempi di applicazione e di tarare le aspettative di professionisti e cittadini.

La previsione di una temporalità limita anche situazioni di blackout in caso, ad esempio, di ritardi nel rinnovo della Cabina di Regia, nelle cui mani è oggi l’aggiornamento e la verifica del Piano.
Indicare e definire le risorse per l’implementazione. Se da un lato il Ministro nel suo atto di indirizzo sottolinea l’importanza di “investire risorse strategiche sui piani nazionali che costituiscono la risposta sistemica alle tematiche di salute concernenti la cronicità, le malattie rare, … la prevenzione e il contrasto del cancro.”, la mancanza di previsione di risorse per la sua implementazione risulta non solo incoerente con le indicazioni espresse, ma rischia di far rimanere l’atto solo sulla carta.

E’ difficile che l’implementazione possa avvenire senza risorse dedicate per gli obiettivi previsti e l’inserimento di nuove patologie (es. per l’adeguamento tecnologico dei presidi diagnostici, il riconoscimento di un codice di esenzione per l’obesità -attualmente non ricompresa nei LEA, per reti cliniche con competenze e diffusione adeguata, ecc.).
Prevedere un sistema di monitoraggio stringente e che dialoghi con il monitoraggio LEA. Il monitoraggio descritto nel Piano risulta debole. Se da un lato indica che le direttrici sono tre (monitoraggio normativo, assetti organizzati ed operativi, indicatori di salute delle singole patologie croniche) dall’altro chiarisce anche che la funzione del monitoraggio “potrà fornire elementi utili a calibrare le scelte strategiche regionali/provinciali e locali” ma non richiama alle conseguenze di una eventuale inapplicazione del Piano. La verifica interessa solo i Pdta (percorsi diagnostico terapeutici assistenziali) delle patologie incluse nel Piano e lascia fuori tante altre malattie croniche, senza quindi una visione di governance complessiva della cronicità. Infine il modello di monitoraggio non dialoga con il sistema degli adempimenti dei Lea.

Deve essere chiara la trasparenza e la pubblicazione della relazione sullo stato di avanzamento dell’implementazione PNC. Da un lato è stato fatto un passo in avanti indicando che l’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari) supporta tecnicamente la Cabina di Regia nel monitoraggio. Dall’altro però non è specificato se la relazione annuale sugli esiti delle attività di monitoraggio – predisposta di norma entro gennaio dell’anno successivo – sarà resa pubblica per assicurare accountability degli interventi e degli esiti prodotti.
Integrare il PNC con gruppi di patologie croniche che richiederebbero una attenzione specifica e non più rinviabile. E’ il caso, ad esempio, della psoriasi da cui sono affetti 1,8 milioni di persone in Italia e che resta una patologia sottovalutata, spesso associata a patologie già ricomprese nella seconda parte del Piano 2016, ma che è talmente sottovalutata che non viene nemmeno rilevata dall’ISTAT nè in quelle del sistema di sorveglianza PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia). E ancora difetta di attenzione alle “nuove cronicità”.

La bozza di PNC trasmesso alle Regioni, manca di un riferimento alle “nuove cronicità” che caratterizzano, ad esempio, alcune neoplasie ematologiche per le quali i traguardi scientifici raggiunti grazie alla ricerca hanno modificato radicalmente i percorsi di cura e l’aspettativa di vita. E’ il caso di neoplasie come la leucemia linfatica cronica o la leucemia mieloide cronica in cui il concetto di cronicità è già esplicitamente espresso nel “nome della patologia”.
“Se approvato in questa versione – commenta Tonino Aceti, presidente di Salutequità – l’aggiornamento del Piano Nazionale Cronicità rischia di restare solo il piano delle ‘buone intenzionì, destinato a restare sulla carta come il precedente di cui ripropone gli errori. A cominciare dall’assenza di risorse dedicate, di un orizzonte temporale certo, di una integrazione con altre patologie che richiedono attenzione specifica e non più rinviabile e di un cronoprogramma che detti il ritmo degli adempimenti e di un meccanismo di verifica efficace che dialoghi con il sistema adempimenti LEA. L’augurio è – conclude Aceti – che le Regioni, assieme al ministero, già dalle riunioni in programma nei prossimi giorni, percorrano questa strada, chiudendo così un documento davvero e finalmente efficace”.

– foto: Ipa Agency –

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Curiosità

SAI CHE…il luogo dove vivi potrebbe influire sul rischio di infarto?

Recentemente, un innovativo studio condotto negli Stati Uniti ha rivelato un legame sorprendente tra l’ambiente urbano in cui si vive e il rischio di malattie cardiache. Utilizzando strumenti tecnologici all’avanguardia e un approccio innovativo, i ricercatori hanno dimostrato come le caratteristiche dell’ambiente costruito possano influenzare la salute del cuore.

Tecnologia e Metodologia: L’Approccio dell’Intelligenza Artificiale

Per analizzare l’impatto dell’ambiente urbano sulla salute cardiovascolare, i ricercatori hanno sfruttato Google Street View, un’applicazione di Google che consente di esplorare strade e quartieri attraverso immagini fotografiche. Attraverso l’uso dell’Intelligenza Artificiale, in particolare delle reti neurali convoluzionali, gli studiosi hanno esaminato oltre 530.000 fotografie provenienti da sette città statunitensi: Detroit, Kansas City, Cleveland, Brownsville, Fremont, Bellevue e Denver.

Le immagini sono state suddivise in 789 micro-zone, note come “census tracts”, che ospitano mediamente 4.000 persone ciascuna. L’IA ha analizzato queste aree alla ricerca di indizi sulla qualità dell’ambiente edificato, come la presenza di aree verdi, lo stato delle strade e la densità costruttiva.

Risultati e Implicazioni

Lo studio, pubblicato sull’European Heart Journal, ha messo in luce come le caratteristiche ambientali influiscano significativamente sul rischio di malattie cardiache. In particolare, è emerso che vivere in aree densamente costruite, con strade mal curate e scarse di spazi verdi, è associato a un aumento del rischio di patologie cardiovascolari, tra cui infarto del miocardio e angina pectoris.

L’analisi delle immagini ha rivelato che l’Intelligenza Artificiale è stata in grado di predire circa il 63% delle variazioni nel tasso di malattie coronariche semplicemente confrontando le caratteristiche ambientali. La densità edilizia, la presenza di crepe nelle strade e la mancanza di aree verdi sono tutti fattori che contribuiscono a una maggiore esposizione all’inquinamento atmosferico e a una qualità dell’aria inferiore, elementi notoriamente dannosi per la salute del cuore.

Il prof. Sadeer Al-Lindi, a capo dello studio, sottolinea l’importanza di considerare questi risultati nella pianificazione urbana. Secondo Al-Lindi, la creazione di ambienti urbani meno densamente edificati, con maggiore presenza di spazi verdi e infrastrutture migliori, potrebbe ridurre significativamente il rischio di malattie cardiovascolari. “Identificare i fattori ambientali che influenzano il rischio cardiovascolare potrebbe svolgere un ruolo importante nel guidare una pianificazione urbana più attenta alla salute del nostro cuore”, afferma il professore.

Questo studio rappresenta un passo avanti significativo nella comprensione di come l’ambiente urbano influisca sulla salute. Fornisce una base solida per future iniziative di pianificazione e intervento che mirano a migliorare la qualità della vita nelle città e a promuovere la salute pubblica attraverso un’urbanistica più consapevole e salutare.

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Attualità

Gigantesco giacimento di idrogeno bianco scoperto sotto la Finlandia

Sotto la Finlandia potrebbe esserci uno dei depositi di idrogeno bianco più grandi al mondo, una scoperta di grande rilevanza per il futuro energetico globale. L’idrogeno bianco, di origine geologica, potrebbe rappresentare una risorsa cruciale nella transizione verso fonti energetiche più sostenibili.

La scoperta è avvenuta nella regione della Carelia settentrionale, all’interno della Outokumpu Belt, nota per i suoi ricchi giacimenti di vari minerali tra cui rame, zinco e oro. Questo giacimento di idrogeno bianco è stato individuato grazie alla Bluejay Mining PLC, che ha identificato elevate concentrazioni di idrogeno libero, associato a elio e altri gas di interesse industriale.

Dal punto di vista geologico, il deposito finlandese è simile al più grande deposito di idrogeno bianco del mondo, recentemente scoperto in Francia. Questi giacimenti si formano attraverso reazioni chimiche tra l’acqua e minerali ricchi di ferro, processi batterici, e altri fenomeni geologici come l’attività delle faglie e la radioattività naturale della crosta terrestre.

Sebbene le concentrazioni di idrogeno bianco siano state rilevate essere significative, ulteriori indagini sono necessarie per determinare la quantità esatta di gas presente nel giacimento. Utilizzando perforazioni profonde già esistenti, si cercherà di ridurre i costi e l’impatto ambientale delle future estrazioni.

Questa scoperta potrebbe avere implicazioni profonde per l’industria energetica mondiale, poiché l’idrogeno bianco potrebbe diventare una valida alternativa all’idrogeno grigio, prodotto da combustibili fossili, e all’idrogeno verde, ottenuto da fonti rinnovabili. Con costi inferiori rispetto all’idrogeno verde e un continuo processo di rigenerazione naturale nella crosta terrestre, l’idrogeno bianco potrebbe giocare un ruolo fondamentale nella riduzione delle emissioni di carbonio e nella promozione di un futuro energetico più sostenibile e pulito.

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