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Curiosità

La “Sindrome di Parigi”: Un Disturbo Psicosomatico Raro ma Reale

La “sindrome di Parigi”, nota in giapponese come パリ症候群 (Pari shōkōgun), è una condizione psicosomatica che colpisce alcuni visitatori della capitale francese, specialmente i turisti giapponesi. Sebbene possa sembrare un concetto bizzarro, questo disturbo è stato studiato e documentato, con manifestazioni e sintomi ben definiti.

Cos’è la Sindrome di Parigi?

La sindrome di Parigi si manifesta attraverso sintomi di forte malessere psicofisico, tra cui nausea, senso di smarrimento e oppressione. I pazienti possono provare una sensazione di disorientamento e ansia, che può intensificarsi fino a diventare debilitante. Questo disturbo è stato osservato principalmente tra i turisti giapponesi che, pur avendo grandi aspettative sulla città, si trovano a confrontarsi con una realtà che non soddisfa le loro aspettative ideali.

Origini e Studio

Il termine “sindrome di Parigi” fu coniato nel 1986 dal medico giapponese Hiroaki Ota, che all’epoca lavorava in Francia. Ota descrisse la sindrome come una condizione unica che colpiva i visitatori giapponesi. Successivamente, il dottor Youcef Mahmoudia dell’Hôtel-Dieu di Parigi approfondì il lavoro di Ota, definendo la sindrome come una manifestazione di psicopatologia legata al viaggio, piuttosto che un disturbo specifico.

Nel 2004, la rubrica di psicologia Nervure documentò 63 casi di sindrome di Parigi tra i turisti giapponesi, tutti tra i 20 e i 65 anni. Questi casi rivelarono un pattern comune di sintomi e disagi psicofisici, spesso legati a una delusione rispetto alle aspettative create da immagini idealizzate di Parigi.

Cause e Fattori Contributivi

Le cause della sindrome di Parigi sono diverse, ma due principali fattori contribuiscono a questo disturbo:

  1. Shock Culturale: I turisti giapponesi possono sperimentare uno shock culturale, un termine coniato dall’antropologa Ruth Benedict per descrivere il malessere che molti viaggiatori provano quando si confrontano con culture significativamente diverse dalla loro. I giapponesi tendono a comunicare con calma e razionalità, mentre i francesi sono noti per la loro comunicazione diretta e vivace. Questa differenza può risultare sconvolgente per i visitatori, generando sentimenti di disagio.
  2. Soddisfazione delle Aspettative: Molti giapponesi arrivano a Parigi con aspettative idealizzate, influenzate da film, libri e altre rappresentazioni culturali. Quando si confrontano con aspetti meno idilliaci della città, come la sporcizia o la percepita maleducazione, possono sentirsi profondamente delusi e disorientati.

Tratti Comuni dei Pazienti

Le ricerche psichiatriche hanno identificato alcuni tratti comuni tra i soggetti affetti dalla sindrome di Parigi. La maggior parte dei pazienti sono molto sensibili e appassionati delle bellezze artistiche e culturali di Parigi. Molti di loro sono artisti, scrittori o studenti di belle arti. Inoltre, spesso hanno una storia pregressa di disturbi psicologici o fisici, come ansia, tachicardia e sudorazione eccessiva.

Misure di Supporto

Per aiutare i turisti giapponesi che soffrono della sindrome di Parigi, l’ambasciata giapponese a Parigi ha istituito una linea telefonica di supporto psicologico operativa 24 ore su 24. Questo servizio offre assistenza immediata a chiunque si senta sopraffatto durante il soggiorno.

Conclusione

La sindrome di Parigi, sebbene rara, rappresenta un esempio affascinante di come le differenze culturali possano influenzare il benessere psicologico dei viaggiatori. Mentre alcuni turisti potrebbero sperimentare questo disturbo, le autorità locali e le ambasciate continuano a lavorare per fornire supporto e assistenza a chi ne ha bisogno, garantendo che il viaggio possa essere una fonte di gioia piuttosto che di stress.

Amici Animali

SAI CHE…1.500 anni fa la volpe era un animale da compagnia?

Sembra che 1.500 anni fa, in Argentina, la volpe potesse essere stata considerata un animale da compagnia tanto quanto il cane lo è oggi. Uno studio recente ha rianalizzato i resti di una volpe morta durante quel periodo, scoperta in una sepoltura vicino a resti umani in provincia di Buenos Aires. Questo suggerisce che le volpi potessero condividere la vita quotidiana con le società di cacciatori-raccoglitori locali.

La volpe in questione, una Dusicyon Avus, vissuta circa 600-800 anni prima che i cani domestici arrivassero in Patagonia, sembra non fosse un semplice predatore, ma un compagno per gli umani. Non ci sono segni che l’animale sia stato utilizzato come cibo; al contrario, il suo stato di conservazione indica che è stato sepolto volontariamente, forse insieme ai resti umani.

Analizzando gli isotopi nelle ossa della volpe, i ricercatori hanno scoperto che la sua dieta includeva cibi consumati dagli abitanti umani della zona, come il mais. Questo suggerisce che le volpi potessero essere state nutrite dagli umani o che si nutrissero dei loro rifiuti, indicando una convivenza ravvicinata.

Questo studio non è un caso isolato. In passato, sono stati trovati resti di volpi accanto a tombe di cacciatori-raccoglitori in altre parti della provincia di Buenos Aires, suggerendo che questa relazione tra uomo e volpe potesse essere una pratica comune in quei tempi antichi.

In un mondo in cui spesso consideriamo il cane come il miglior amico dell’uomo, questa ricerca ci offre uno sguardo affascinante su un’epoca in cui la volpe potrebbe aver svolto un ruolo simile nella vita delle persone.

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Curiosità

SAI CHE…nessuna persona è esclusa dal “fare le puzzette”?

Le flatulenze, comunemente note come “puzzette”, rappresentano un fenomeno inevitabile per l’essere umano e la stragrande maggioranza dei mammiferi. Nonostante ogni sforzo per controllarle, l’aria prodotta nel nostro corpo deve necessariamente trovarne un’uscita. Va sottolineato che non esiste alcuna condizione medica nota che permetta l’assorbimento totale dei gas intestinali come parte dei suoi sintomi o effetti collaterali.

Fenomeno universale L’intestino umano è naturalmente colonizzato da batteri che supportano la digestione, producendo gas come sottoprodotto. Questo processo fisiologico comune porta alla formazione di flatulenze, che possiamo gestire durante il giorno ma che possono verificarsi spontaneamente anche durante il sonno. In media, le persone emettono da 0,5 a 1,5 litri di gas al giorno, corrispondenti a circa 10-30 emissioni.

Una caratteristica condivisa Le flatulenze non sono limitate agli esseri umani: sono una caratteristica comune a quasi tutti i mammiferi e, in un certo senso, anche ai pesci. Questo processo biologico è un aspetto naturale della fisiologia degli animali, dimostrando che le “puzzette” sono una parte inevitabile e condivisa dell’esperienza vivente sulla Terra.

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Curiosità

La bellezza del saluto

È capitato sicuramente a tutti di fare un’escursione in montagna e mentre si cammina ricevere un “buongiorno” e un sorriso da uno sconosciuto con cui ci si incrocia.

In montagna salutarsi è un’abitudine che c’è da sempre, un rito che si tramanda di saluto in saluto. Forse perché sul sentiero, con il nostro zaino sulle spalle, la fatica nelle gambe e la gioia di arrivare in cima si è tutti uguali, circondati dallo stesso panorama e uniti nella stessa passione.

Pensandoci bene anche i motociclisti si salutano con le due dita, indice e medio, a formare una V. I camperisti, invece, alzano una mano e lampeggiano, così come gli autotrasportatori.

Sembra che appartenere a uno stesso gruppo, con passioni o lavori in comune ci renda più empatici, più aperti agli altri e ci spinga a salutare anche chi non si conosce.

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Che cos’è un saluto

Salutare è un termine che deriva dal latino e significa “augurare salute”.

Nel dizionario possiamo trovare la seguente definizione: “rivolgere a una persona formule o gesti di amicizia, di rispetto, nel momento in cui la si incontra o la si lascia; accogliere; abbandonare; fare visita; acclamare”.

L’uomo è un “essere sociale” e il saluto è nato nel momento in cui si è reso conto di voler interagire con i suoi simili.

Nel mondo ci si saluta in tanti modi diversi: con un inchino, un abbraccio, un bacio o una mano sul cuore, ma la sostanza non cambia è un gesto gratuito che regala soddisfazione a chi lo offre e a chi lo riceve.

Perché in città non ci si scambiano saluti

Nelle grandi città, a causa del sovraffollamento e dei ritmi frenetici delle nostre giornate, si è persa la bella abitudine di salutare il prossimo, mentre nei piccoli centri o nei paesini di montagna, dove la vita scorre con più lentezza, si è più propensi ad aprirsi agli altri e a donare un buongiorno e un sorriso alle persone che si incontrano.

Inoltre, la tecnologia, se da una parte ci ha aiutato a essere più connessi gli uni con gli altri, dall’altra ci ha reso più soli.

Ci preoccupiamo di postare un buongiorno sui social media o di rispondere al commento di uno sconosciuto, ma ci costa un grande sforzo anche scambiare un sorriso con un vicino di casa.

La Città del Saluto

Montegaldella è un piccolo Comune in provincia di Vicenza che conta poco meno di 2.000 abitanti.

All’entrata della piccola località è posizionato un cartello che dà il benvenuto ai visitatori, recante la scritta “Paese del Saluto” con elencati i modi di dire “ciao” in diverse lingue.
A Montegaldella hanno attribuito il nome di “Città del Saluto” nel 2003 grazie a una campagna di sensibilizzazione dedicata.

Davanti al Municipio è stato installato il Monumento del Saluto, un bassorilievo di due metri di altezza in pietra dei Berici, realizzato dall’artista Guido de Tomasi di Vicenza. L’opera raffigura il viso di Albano Cozza, un’ottantenne di Montegaldella, che ha fatto da testimonial all’iniziativa.

Per l’occasione, è stato realizzato un sentiero ciclo pedonale di 7 km, “la Ciclabile del Saluto” che unisce la frazione di Ghizzole (VI) alla località di Cervarese S. Croce (PD).
Lungo il percorso si possono ammirare 20 Totem per scoprire le origini e la storia del saluto.

All’ingresso della ciclabile sono state posizionate due colonne su cui sono incise le immagini di due ciclisti che si salutano.

Il potere terapeutico di un saluto

Salutare non è solo un gesto di buona educazione: è anche un’apertura verso gli altri.
Chi saluta non si concentra solo su se stesso, ma crea un contatto con chiunque entri momentaneamente nella sua vita.

Salutare e regalare un sorriso equivale ad accogliere qualcuno nel proprio microcosmo, compiendo un atto di gentilezza che far stare bene e rende migliori.

Non sappiamo mai cosa stiano passando le persone che incrociamo tutti i giorni. A volte, regalare un saluto può aiutare chi sta attraversando un momento di difficoltà, rendendo il suo quotidiano più luminoso e facendolo sentire meno solo.

Una lezione di vita ci arriva da un Docente e scrittore americano, di origini italiane, Leo Buscaglia, che racconta di aver iniziato a salutare chiunque incontrasse sul proprio cammino e a un suo qualsiasi cenno c’era chi reagiva ricambiandolo, chi si girava altrove e chi chiedeva perplesso: “Ci conosciamo?”.
La risposta dell’intellettuale era: “No, ma potremmo conoscerci!”.

Il saluto è come un raggio di sole: arricchisce chi lo offre e scalda il cuore di chiunque lo riceva.

Da domani prova a far diventare questo gesto un’abitudine: noterai che le tue giornate saranno molto più luminose.

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