Liguria

Genova | Detenuto muore in carcere, il Sappe: “Situazione allarmante”

“Non è ancora chiaro se la causa della morte del detenuto deceduto in carcere a Marassi, presumibilmente per l’inalazione in cella del gas della bomboletta che legittimamente i detenuti posseggono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande. Non è ancora chiaro se si tratta di suicidio o le conseguenze di uno sballo finito male, ma certo è che l’uomo è morto e questo è un fatto triste e grave”: lo dichiara Donato Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, appresa la morte di un detenuto nella Casa circondariale di Marassi, a Genova.

Per il Segretario Generale del SAPPE, “è ora che al posto delle pericolosissime bombolette a gas, a volte trasformate anche in bombe contro il personale di Polizia Penitenziaria, si dotino le carceri di piastre elettriche per riscaldare il cibo dei detenuti. E il fatto che sia morto inalando il gas dalla bomboletta che tutti i reclusi legittimamente detengono per cucinarsi e riscaldarsi cibi e bevande, come prevede il regolamento penitenziario, deve fare seriamente riflettere sulle modalità di utilizzo e di possesso di questi oggetti nelle celle. Già da tempo, come primo Sindacato della Polizia Penitenziaria, il SAPPE ha sollecitato i vertici del DAP per rivedere il regolamento penitenziario, al fine di organizzare diversamente l’uso e il possesso delle bombolette di gas”.

Ma il SAPPE sottolinea le criticità operative del personale di Polizia in relazione alla alta concentrazione di detenuti tossicodipendenti, come a Marassi: “Dai dati in nostro possesso sappiamo che quasi il 30% delle persone, italiane e straniere, detenute in Italia, ossia uno su tre, ha problemi di droga. Per chiarezza va ricordato che le persone tossicodipendenti o alcoldipendenti all’interno delle carceri sono presenti per aver commesso vari tipi di reati e non per la condizione di tossicodipendenza. La loro presenza comporta da sempre notevoli problemi sia per la gestione di queste persone all’interno di un ambiente di per se cosi problematico, sia per la complessità che la cura di tale stato di malattia comporta. Non vi è dubbio che chi è affetto da tale condizione patologica debba e possa trovare opportune cure al di fuori del carcere e che esistano da tempo dispositivi di legge che permettono di poter realizzare tale intervento”. 

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