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Calabria

Ponte sullo Stretto | La ‘Ndrangheta inizia a guadagnarci su

Il progetto del Ponte sullo Stretto, sebbene ancora non definitivo, ha già indicato i nomi dei proprietari terrieri che verranno espropriati, con case, fabbricati e terreni destinati alla demolizione o all’occupazione. Questi elenchi includono anche territori fino a Limbadi e Nicotera, nel territorio della provincia di Vibo Valentia. A Nicotera, circa 60 chilometri a nord dei piloni del ponte sul versante calabrese, sono stati individuati oltre 70.000 metri quadrati di terreno che saranno utilizzati come deposito per i materiali di scarto dei cantieri. Dai documenti catastali emerge che la proprietaria è Carmina Antonia Mancuso, il cui cognome è associato a una delle ‘ndrine della ‘ndrangheta più influenti della regione.

Secondo il cronoprogramma del progetto definitivo del ponte, i proprietari coinvolti riceveranno un indennizzo per l’utilizzo delle loro terre per la durata dei lavori e fino a otto anni successivi. Tuttavia, c’è preoccupazione che queste terre possano finire sotto l’influenza della criminalità organizzata. Tuttavia, il CEO di WeBuild Salini ha assicurato che sono stati istituiti “appositi protocolli di legalità” per affrontare tale rischio.

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Il progetto “definitivo” del Ponte sullo Stretto, pubblicato da Stretto di Messina S.p.A., prevede anche la creazione di aree destinate al deposito dei materiali di scarto dei cantieri, in Sicilia e in Calabria, anche a notevole distanza dal ponte stesso. In Sicilia, la località più lontana sarà Torregrotta, a 35 chilometri di distanza dalla struttura. Qui sorgerà un sito di smaltimento per materiali classificati come “rifiuti speciali non pericolosi”, quali fanghi pressati, macerie e scarti di demolizione provenienti dalla costruzione del ponte.

In Calabria, le distanze aumentano ulteriormente. I siti di deposito più remoti sono situati in province diverse da quella di Reggio Calabria, precisamente nei comuni di Limbadi e Nicotera (Vibo Valentia), dove sorgeranno aree destinate al “deposito e al recupero ambientale”. Limbadi e le campagne circostanti sono tristemente famose per l’omicidio di Maria Chindamo, imprenditrice rapita e uccisa dopo aver attirato l’interesse della ‘ndrangheta sui suoi terreni. La presenza di questi depositi viene valutata nel contesto del progetto definitivo in termini di “variazioni estetiche” e “trasformazioni delle attuali modalità di utilizzo del suolo”, che richiederanno interventi di recupero tramite “rimboschimento e inerbimento”.

Le discariche per i materiali di scarto del ponte si estendono anche a terreni di proprietà di membri della ‘ndrangheta, come Carmina Antonia Mancuso, figlia del defunto boss don Ciccio Mancuso e ex sindaco di Limbadi. Questi proprietari terrieri saranno indennizzati per la temporanea perdita di possesso delle loro proprietà, secondo i programmi stabiliti da Stretto di Messina S.p.A., fino al 2032.

Tuttavia, è importante notare che gli espropri coinvolgeranno decine di ettari di territorio che sono stati utilizzati dalle ‘ndrine come discariche per decenni, senza mai essere bonificati. Se il ponte verrà costruito, ciò potrebbe portare a un miglioramento complessivo della situazione. Tra i nomi dei terreni da espropriare e occupare vi è anche quello di Francesco Naso, imprenditore condannato a 18 anni per associazione mafiosa nel processo “Rinascita Scott” contro la ‘ndrangheta, avviato dal magistrato Nicola Gratteri.

La famiglia Mancuso ha una lunga storia di attività criminale in Calabria, con un forte controllo nel settore edilizio e dello smaltimento dei rifiuti, tra le altre attività illecite. L’operazione “Rinascita Scott” nel 2019 ha portato all’arresto di centinaia di persone, tra cui vari affiliati e alleati della famiglia Mancuso. Secondo la Dia, la provincia di Vibo Valentia è storicamente caratterizzata dalle attività dei Mancuso, che gestiscono il traffico di droga, il gioco d’azzardo e le estorsioni, oltre a essere coinvolti nel settore turistico-alberghiero e nell’edilizia.

Calabria

Paola (CS) | Processo “Marlane Bis”: disposta l’archiviazione per gli imputati 

Il gip di Paola, Carla D’Acunzo, ha deciso di archiviare il procedimento riguardante il caso “Marlane Bis”, che coinvolgeva ex dirigenti e impiegati dell’industria tessile Marlane di Praia a Mare, accusati di omicidio colposo e lesioni colpose. Questa decisione implica che non si svolgerà alcun processo per sette individui, tra cui l’attuale proprietario del Gruppo Marzotto.

Le accuse originano da denunce presentate sette anni fa da ex operai e familiari di lavoratori deceduti, che sostenevano che le patologie tumorali riscontrate fossero conseguenti all’esposizione a sostanze chimiche utilizzate nella produzione tessile. Tuttavia, il giudice ha ritenuto che non ci fossero elementi sufficienti per stabilire un nesso diretto tra le malattie e le sostanze in questione, oltre a concludere che non fosse necessario condurre ulteriori indagini.

Il collegio difensivo degli imputati era composto da un gran numero di avvocati, che hanno sostenuto l’innocenza dei loro assistiti. Le accuse di questo secondo procedimento ricalcavano in gran parte quelle del primo, che si era già concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati per reati simili, evidenziando una continuità nei risultati giudiziari.

La vicenda ha sollevato discussioni sul tema della responsabilità delle aziende in relazione alla salute dei lavoratori e sull’uso di sostanze chimiche nelle industrie. Sebbene il processo non si svolgerà, la questione resta di grande rilevanza sociale e giuridica, evidenziando la necessità di un continuo monitoraggio delle condizioni di lavoro e della salute degli operai nel settore tessile.

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Calabria

Crotone | 31 arresti e dinamiche interne della ‘Ndrangheta allo scoperto

I Carabinieri del Comando Provinciale di Crotone, con il supporto delle unità di Catanzaro, Vibo Valentia, Cosenza e dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria, hanno eseguito un’importante operazione antimafia, portando all’arresto di 31 persone. Il provvedimento cautelare, emesso dal G.I.P. del Tribunale di Catanzaro su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA), prevede per 15 indagati la custodia cautelare in carcere, per 7 gli arresti domiciliari e per 9 l’obbligo di dimora. Gli individui coinvolti sono accusati di vari reati, tra cui associazione mafiosa, estorsione, usura, traffico di stupefacenti e reati legati alle armi e agli esplosivi.

Le indagini, avviate nell’ottobre del 2020 a seguito di un episodio estorsivo nei confronti di un imprenditore di Cutro, hanno progressivamente rivelato le dinamiche interne alla ‘ndrangheta nella zona di Cutro, con particolare riferimento alla famiglia Martino, legata al boss Nicolino Grande Aracri. Questa famiglia, attiva dopo l’arresto del boss, si contrappone alla cosca Ciampà-Dragone, tentando di affermarsi come un gruppo autonomo all’interno della ‘ndrangheta.

L’inchiesta si inserisce nel solco delle precedenti operazioni antimafia “Kyterion” e “Aemilia”, trovando conferme anche nelle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia. Gli investigatori hanno documentato l’esistenza di una rete di traffico di droga che operava principalmente lungo la direttrice Cutro-Cosenza-Catanzaro, con particolare attenzione al capoluogo calabrese. I proventi delle attività criminali servivano a sostenere economicamente gli affiliati e le famiglie dei detenuti.

L’indagine ha messo in luce il controllo capillare del territorio attraverso intimidazioni, estorsioni ai danni di imprenditori e attività usuraie. Sono stati inoltre scoperti due sequestri di armi avvenuti nel 2021 e nel 2022, confermando la disponibilità di armamenti da parte degli indagati. Anche le intercettazioni telefoniche e ambientali, unitamente alle operazioni di pedinamento e osservazione, hanno giocato un ruolo cruciale nella raccolta di prove.

Durante l’esecuzione delle misure cautelari, sono state condotte perquisizioni personali e domiciliari nei confronti degli indagati, aggiungendo ulteriori elementi all’inchiesta in corso.

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Calabria

Reggio Calabria | Sgominata organizzazione dedita al furto di macchine operatrici e attrezzature da cantiere

Un’importante operazione condotta dalla Polizia Stradale di Reggio Calabria ha portato all’esecuzione di nove misure cautelari nei confronti di un gruppo accusato di associazione per delinquere finalizzata al furto di macchine operatrici e veicoli commerciali. Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica locale, hanno rivelato un’ampia rete di furti e rivendita di attrezzature rubate in vari paesi dell’Est Europa e del Nord Africa.

Le indagini sono partite da un furto avvenuto nel novembre 2018, quando una macchina operatrice è stata sottratta da un cantiere per i lavori di ristrutturazione dell’Autostrada A2. Successivamente, il veicolo è stato ritrovato a Reggio Calabria all’interno di un autocarro rubato. Nel corso degli anni, altri furti simili hanno coinvolto diverse attrezzature, inclusi mezzi di proprietà comunale, evidenziando un modus operandi sistematico.

Grazie a tecniche investigative avanzate, gli agenti hanno identificato un gruppo criminoso responsabile di circa 80 furti, che ha operato non solo in Calabria, ma anche in Toscana ed Emilia Romagna, accumulando un valore complessivo dei beni rubati di oltre 1,7 milioni di euro.

Il Giudice per le Indagini Preliminari ha accolto la richiesta di misure cautelari, ordinando la custodia domiciliare per i nove indagati, mentre altre 40 persone sono state segnalate come coinvolte nell’attività criminale. L’operazione ha visto il coinvolgimento di circa 50 agenti della Polizia Stradale e delle Squadre di Polizia Giudiziaria di diverse province, dimostrando l’impegno delle forze dell’ordine nella lotta contro il crimine organizzato.

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