Cronaca

Strage di Altavilla | Barreca al 112: «Gli spiriti mi hanno bloccato pure la macchina»

Ancora tutto da scoprire è il luogo e le azioni compiute durante quel blackout di dodici ore. Tuttavia, è già documentata la telefonata al 112, effettuata l’11 febbraio alle 00:37, in cui Barreca ha denunciato di aver sterminato la sua famiglia nel nome di Dio. Durante la chiamata, tra deliri religiosi, confessava di aver ucciso la moglie e i due figli. L’operatore, inizialmente scettico di fronte a ciò che sembrava essere una telefonata di un mitomane, era ancora incredulo quando Barreca ha spiegato che gli “spiriti” avevano bloccato la sua macchina e gli impedivano di continuare a compiere la volontà di Dio. Ha descritto la sua disperata situazione, menzionando sua figlia e affermando che il figlio più piccolo era morto.

L’addetto del numero di emergenza ha capito che c’era qualcosa di serio e ha promesso che avrebbero mandato qualcuno. I militari, una volta rintracciato Barreca, si sono recati immediatamente nella sua casa di Altavilla Milicia, trovando una scena orribile: il figlio minore, Emanuel, coperto da un telo nella sua cameretta da letto, mentre il figlio maggiore, Kevin, era legato sul divano del soggiorno con le mani e i piedi legati dietro la schiena con una catena. Barreca, lucido per un momento, ha rivelato di aver bruciato il corpo della moglie in giardino. I carabinieri hanno trovato la figlia diciassettenne incolume nella sua cameretta.

La ragazza è ora detenuta in un carcere femminile al di fuori della Sicilia. Le indagini hanno rivelato che potrebbe essere stata coinvolta nei maltrattamenti e negli omicidi di sua madre e dei suoi fratelli. Il procuratore dei minorenni, Claudia Caramanna, ha deciso di interrogarla solo dopo aver completato l’analisi del suo cellulare, inclusi messaggi, chat e spostamenti, per stabilire fino a che punto ha detto la verità. Nel frattempo, i carabinieri del Reparto investigazioni scientifiche di Messina stanno esaminando i vestiti sul letto e gli oggetti sequestrati nell’appartamento di via dell’Arancio, a Sferracavallo, dove vivevano Massimo Carandente e Sabrina Fina, sospettati di essere stati utilizzati dalla coppia durante gli eventi legati alla tragedia.

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