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Curiosità

SAI CHE… Cure si usavano nell’antichità per i disturni di mente?

Nell’antichità, la comprensione dei disturbi mentali era profondamente influenzata da credenze religiose e superstiziose. I metodi di cura variavano ampiamente a seconda delle culture e delle epoche, ma spesso riflettevano la convinzione che le malattie mentali fossero causate da forze esterne o da squilibri fisici.

Uno dei metodi più comuni era l’esorcismo, praticato da sacerdoti o stregoni che cercavano di liberare gli individui da spiriti maligni ritenuti responsabili della loro condizione. Questo approccio si affiancava a rituali complessi e all’uso di amuleti.

Il salasso era un’altra pratica diffusa, impiegata per “purificare” il corpo dai cosiddetti “cattivi umori”. La rimozione di sangue veniva vista come un modo per ripristinare l’equilibrio dei quattro umori, una teoria medica che dominava il pensiero medico dell’epoca.

Un metodo particolarmente estremo era la trapanazione, attraverso la quale si praticava un foro nel cranio, nella speranza di alleviare la sofferenza mentale. Sebbene oggi possa sembrare bizzarro, rappresentava un tentativo di affrontare direttamente il problema, evidenziando la limitata comprensione delle cause dei disturbi psichici.

Inoltre, il medico Ippocrate suggeriva l’uso di purghe per espellere le tossine che si pensava potessero causare la malattia mentale, somministrando rimedi a base di erbe e sostanze naturali.

Tuttavia, non tutte le terapie antiche erano invasive o drastiche. La cultura egizia, ad esempio, incoraggiava l’arte come forma di terapia, promuovendo attività ricreative come la danza e la musica per sollevare l’umore dei pazienti. Questi approcci mostrano una sorprendente affinità con le terapie moderne, evidenziando il potere dell’espressione artistica e della socializzazione nel trattamento dei disturbi mentali.

Questo panorama di cure antiche ci invita a riflettere su quanto la percezione e il trattamento della salute mentale siano evoluti nel tempo, ponendo le basi per una maggiore comprensione e accettazione delle malattie psichiche oggi.

Curiosità

SAI CHE… Fine hanno fatto i figli di Cleopatra?

Nella storia dell’antico Egitto, la figura di Cleopatra è indissolubilmente legata ai suoi amori e ai suoi figli. La regina, ultima sovrana della dinastia tolemaica, ebbe quattro figli, ciascuno dei quali visse una vita segnata da eventi drammatici e tragici. Dopo la morte di Cleopatra e di Marco Antonio nel 30 a.C., i loro figli dovettero affrontare un destino incerto, segnato dalla sconfitta e dalla cattura da parte di Ottaviano.

Il primogenito, Cesarione, nato dalla relazione con Giulio Cesare, rappresentava un potenziale rivale per il potere romano. La sua vita si concluse tragicamente a soli quattordici anni, quando venne assassinato per ordine di Ottaviano, che temeva la sua rivendicazione al trono.

Alessandro Elio, il primo figlio avuto con Marco Antonio, nacque nel 40 a.C. e, sebbene avesse ricevuto titoli importanti, il suo destino si rivelò funesto. Dopo la sconfitta dei genitori, fu portato a Roma, dove la sua vita si spense in giovane età, probabilmente per cause naturali, nel 29 a.C.

La figlia, Cleopatra Selene II, si distinse tra i fratelli. Dopo essere stata presentata come trofeo di guerra a Roma, venne sposata con il re numida Giuba II. Sotto il suo regno, Selene esercitò una notevole influenza politica e culturale, contribuendo alla fioritura della Mauretania. La sua vita, pur segnata dalla perdita, le permise di affermarsi come figura di potere fino alla sua morte, avvenuta probabilmente nel 5 a.C.

Infine, c’è Tolomeo Antonio Filadelfo, il cui destino è avvolto nel mistero. Nacque nel 36 a.C. e, come i suoi fratelli, venne portato a Roma. Tuttavia, le fonti storiche non forniscono dettagli sulla sua vita adulta, e si ipotizza che morì giovanissimo nel 29 a.C., lasciando così poco di sé nella memoria collettiva.

Questi figli di Cleopatra, purtroppo, vissero in un’epoca di transizione e conflitti, e le loro vite si intrecciarono con le drammatiche vicende di un impero in espansione. La loro storia è un triste riflesso delle complessità politiche e personali di un’epoca in cui il potere e il destino individuale erano inestricabilmente legati.

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Curiosità

SAI CHE… Nel Golfo Persico c’è una “Venezia Iraniana”?

Nel cuore del Golfo Persico, sull’isola di Kish, si trova un’affascinante meraviglia architettonica: la Città Sotterranea di Kish, una rete di tunnel e acquedotti che racconta la storia di un ingegno antico e innovativo. Questa cittadina sotterranea, spesso paragonata alla famosa Venezia, offre una nuova prospettiva sul concetto di urbanizzazione e sulla gestione delle risorse idriche in un ambiente arido.

Un’Ingegneria Avanzata

La storia di Kish risale a oltre duemilacinquecento anni fa, quando gli abitanti dell’antica città di Harireh iniziarono a scavare per realizzare un acquedotto, noto come “kariz”. Questa straordinaria opera di ingegneria, estesa per oltre 10.000 metri quadrati, ha permesso non solo di trasportare acqua potabile, ma anche di creare un intero ecosistema commerciale. La cittadina si è sviluppata attorno a questo sistema, diventando un centro vitale per il commercio e l’irrigazione agricola.

Il kariz si avvaleva di un sofisticato sistema di filtrazione, composto da diversi strati di materiali naturali, e permetteva l’accesso all’acqua per molteplici utilizzi. In epoche successive, la struttura è stata perfezionata fino a includere un canale per l’attracco di piccole imbarcazioni, un ulteriore testimone del livello ingegneristico raggiunto dai suoi costruttori.

Un Abbandono Ingiustificato e una Nuova Vita

Nonostante il suo passato fiorente, la Città Sotterranea di Kish ha subito un abbandono misterioso. Solo nel 1999 le autorità iraniane hanno deciso di riportare alla luce questi antichi ingressi, ristrutturando e rinnovando gli spazi interni. Oggi, l’antico kariz è diventato un centro commerciale, dove i visitatori possono immergersi in un’atmosfera unica, circondati da negozi che si snodano attraverso le gallerie storiche.

Un’Attrazione Turistica Imperdibile

Kish è diventata una meta turistica di prim’ordine, classificandosi al terzo posto per il volume di visitatori nel sud-ovest asiatico, subito dopo Dubai e Sharm el-Sheikh. La sua bellezza, la storia e la cultura locale attraggono turisti da tutto il mondo, desiderosi di esplorare questo tesoro nascosto.

La Città Sotterranea di Kish è un esempio straordinario di come l’ingegneria e la storia possano confluire per creare luoghi di meraviglia. Una visita a questo sito non è solo un viaggio nel passato, ma anche un’opportunità per comprendere l’innovazione e la resilienza di una civiltà che ha saputo adattarsi alle sfide ambientali.

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Curiosità

SAI CHE… C’era una Tassa sull’Urina nell’Antica Roma?

Nell’antichità, il sistema fiscale di Roma presentava delle peculiarità che oggi farebbero sorridere e, allo stesso tempo, riflettere. Tra le tasse più bizzarre imposte dall’imperatore Vespasiano nel I secolo d.C., spicca quella sull’urina, un’imposizione che rivelava non solo l’ingegno della burocrazia romana ma anche il bisogno urgente di nuove fonti di reddito.

Durante il suo regno, Vespasiano si trovò di fronte a un’importante sfida: garantire entrate fiscali per finanziare progetti ambiziosi, tra cui la costruzione del Colosseo. In un’epoca in cui le risorse scarseggiavano, decise di attingere a una materia prima inusuale: l’urina. Questa sostanza, infatti, era utilizzata per estrarre ammoniaca, un elemento cruciale nella concia delle pelli. L’urina veniva raccolta in appositi orinatoi e rivenduta a chi si occupava della lavorazione delle pelli, generando un mercato fiorente.

La tassa, nota come “centesima venalium”, colpiva proprio questo commercio e si rivelò una scelta finanziariamente vincente per il governo romano. Nonostante il suo successo, l’imposizione non mancò di suscitare critiche, persino tra i membri della famiglia imperiale. Il figlio di Vespasiano, Tito, si oppose a questa misura, trovandola imbarazzante. In risposta alle sue obiezioni, Vespasiano pronunció una frase che sarebbe rimasta impressa nella storia: “pecunia non olet”, sottolineando così che il valore del denaro non è influenzato dalla sua origine.

Questo episodio ci invita a riflettere sulle origini delle tasse e sul modo in cui le società si sono adattate alle esigenze fiscali nel corso dei secoli. In un contesto in cui le entrate fiscali sono fondamentali per il funzionamento dello Stato, la creatività romana nell’affrontare le difficoltà economiche emerge come un aspetto affascinante della storia. Non importa quanto possa sembrare strana, la tassa sull’urina rappresenta un capitolo significativo del pensiero economico e culturale dell’epoca.

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