Connect with us

Storie

Il Mito di Pigmalione: Dalla Scultura alla Trasformazione Sociale

Il mito di Pigmalione, così come narrato da Ovidio nelle Metamorfosi, racconta la storia di un artista cipriota che si innamora della sua stessa creazione: una scultura di una donna così bella e perfetta da farlo perdere completamente la testa. Questo amore non corrisposto per un’opera d’arte lo porta a cercare l’intercessione della dea Afrodite, sperando che possa dare vita alla sua statua. Il risultato è un amore che si concretizza, permettendo a Pigmalione di sposare l’essere che lui stesso ha creato.

Questo racconto antico ha ispirato anche la letteratura moderna, in particolare la commedia Pygmalion scritta da George Bernard Shaw nel 1913. In questa opera, il tema dell’ideale di bellezza e della trasformazione viene riproposto in un contesto sociale completamente diverso. Il protagonista è un professore di dizione che, per una scommessa, decide di insegnare a una giovane fioraia come comportarsi e parlare come una dama dell’alta società.

Questa versione della storia non solo esplora le dinamiche di classe e la superficialità dei valori sociali, ma mette anche in luce le relazioni di potere tra i personaggi. Il professore, nel tentativo di “plasmare” la giovane, rivela sia la sua ambizione sia le sue vulnerabilità, mentre la fioraia, di nome Eliza Doolittle, scopre nuove possibilità di identità e self-empowerment.

La storia di Shaw è stata poi adattata nel famoso musical My Fair Lady, che ha debuttato nel 1956. Interpretato da Julie Andrews nel ruolo di Eliza e da Rex Harrison in quello del professore Henry Higgins, il musical ha portato il mito di Pigmalione a un pubblico ancora più vasto. La sua popolarità è stata ulteriormente consolidata dal film del 1964 con Audrey Hepburn, che ha reso il racconto iconico per diverse generazioni.

Oggi, il termine “pigmalione” è spesso utilizzato per descrivere una persona che assume un ruolo di mentore o guida, cercando di plasmare il carattere e le abilità di qualcuno, spesso in un contesto di disuguaglianza sociale. Questo può manifestarsi in vari ambiti, dal mondo del lavoro all’educazione, dove un individuo cerca di elevare un altro, affinando le sue capacità e influenzando la sua personalità.

Tuttavia, il mito di Pigmalione solleva anche interrogativi etici. La relazione tra il mentore e il “progetto” è complessa e può rischiare di scivolare in dinamiche di controllo e oggettificazione. Pertanto, è essenziale riflettere su come queste influenze possano essere sia costruttive che problematiche.

Il mito di Pigmalione, dall’antica Grecia a Shaw e oltre, continua a risuonare con la nostra società contemporanea, invitandoci a riflettere sul potere della creazione e sulla responsabilità che deriva dall’influenza sugli altri. Sia nella scultura che nella società, la bellezza e il cambiamento sono temi universali che ci invitano a esplorare non solo ciò che possiamo creare, ma anche ciò che possiamo distruggere. La storia di Pigmalione rimane un monito e un’ispirazione nel nostro viaggio verso la comprensione delle relazioni umane e delle aspirazioni personali.

Storie

Alle Calende Greche: Origine e Significato di un’Espressione Intramontabile

L’espressione “alle calende greche” ha radici nell’antica Roma ed è attribuita all’imperatore Augusto, secondo quanto riportato dallo storico Svetonio. Nel calendario romano, le calende indicavano il primo giorno di ogni mese, un momento in cui tradizionalmente venivano saldati debiti e prestiti. Tuttavia, nel calendario greco, le calende non esistevano, e quindi dire che qualcosa sarebbe accaduto “alle calende greche” significava che non sarebbe mai successo.

Augusto usava questa frase per indicare un pagamento o un evento che non si sarebbe mai verificato, un modo elegante per alludere all’impossibilità di qualcosa. Questa locuzione è sopravvissuta nel tempo ed è diventata parte integrante delle espressioni idiomatiche in molte lingue europee, utilizzata per riferirsi a un avvenimento estremamente improbabile o destinato a essere procrastinato indefinitamente.

Un’espressione simile è presente anche in altre lingue, come il tedesco, con la frase “Zu dem Juden Weihnachten”, letteralmente “a Natale degli Ebrei”, che porta lo stesso significato di un evento che non avverrà mai. Un episodio famoso che testimonia l’uso di questa locuzione risale al 1577, quando Elisabetta I d’Inghilterra rispose a Filippo II di Spagna, che le chiedeva di non sostenere i ribelli olandesi e di restaurare il cattolicesimo in Inghilterra. Elisabetta, con spirito ironico, replicò che avrebbe soddisfatto tali richieste “alle calende greche”, sottolineando con eleganza che non avrebbe mai accettato tali condizioni.

Questa espressione rimane tuttora un modo colorito per esprimere l’impossibilità di un evento, rendendola parte del patrimonio linguistico e culturale europeo.

Continua a leggere

Storie

Il Mito di Garibaldi e l’Obbedisco: Un Falso Storico Svelato

La figura di Giuseppe Garibaldi è da sempre avvolta da un’aura di leggenda, simbolo di unità e patriottismo italiano. Tra le frasi celebri che lo accompagnano, quella del lapidario “Obbedisco” è forse la più iconica. Tuttavia, l’origine e il contesto di questa affermazione sono ben lontani dal racconto popolare, e meritano di essere esaminati con attenzione.

Contrariamente a quanto si crede, Garibaldi non pronunciò mai la parola “obbedisco” durante il famoso incontro con il re Vittorio Emanuele II a Teano, avvenuto il 26 ottobre 1860. In realtà, questa espressione non fu nemmeno un dialogo diretto, ma un gesto di scrittura avvenuto anni dopo. La storicità di questo episodio viene chiarita quando si considera il contesto e la data in cui la frase è stata realmente messa su carta.

Il 9 agosto 1866, Garibaldi si trovava nel comune di Bezzecca, in Trentino, dove aveva recentemente ottenuto una vittoria contro le forze austriache durante la Terza guerra d’Indipendenza. Con le sue truppe, i “Cacciatori delle Alpi”, il generale era determinato a liberare Trento, che all’epoca faceva parte dell’Impero Austro-Ungarico. Tuttavia, la sua avanzata fu interrotta da una notizia inaspettata: l’armistizio tra Italia e Austria era imminente.

In seguito all’ordine ricevuto dal generale La Marmora di ritirarsi dal Trentino entro 24 ore, Garibaldi, deluso e frustrato, decise di scrivere una lettera. In questa comunicazione, utilizzò la famosa espressione “obbedisco” per esprimere il suo rifiuto di accettare l’ordine. Il tono della sua missiva rifletteva la determinazione e il senso di responsabilità che lo caratterizzavano, nonostante la situazione.

L’armistizio di Cormons, che sancì la cessazione delle ostilità il 12 agosto, portò alla firma della pace a Vienna il 3 ottobre dello stesso anno. Questo accordo si tradusse in una perdita per l’Italia, che non riuscì a liberare il Veneto e il Trentino in quel momento. Mentre il Veneto venne annesso al Regno d’Italia poco dopo, per il Trentino si dovette attendere ben 49 anni e la Prima guerra mondiale.

Il mito di Garibaldi e la frase “obbedisco” evidenziano come la storia possa essere distorta o semplificata nel corso del tempo. La realtà dei fatti è molto più complessa e affascinante rispetto alla narrazione tradizionale. Riscoprire il vero significato di questi eventi ci permette di comprendere meglio il contesto storico in cui Garibaldi operò e le sfide che affrontò nella sua lotta per l’unità d’Italia. La sua figura rimane, quindi, non solo un simbolo di resistenza, ma anche un riflesso delle dinamiche politiche e militari del suo tempo.

Continua a leggere

Storie

Le Strade di Roma: “Omnes viae Romam ducunt” Un Viaggio tra Storia e Significato

Il famoso proverbio “Tutte le strade portano a Roma” trova le sue radici in un passato affascinante e concreto. Recenti ricerche condotte da esperti architetti tedeschi hanno esaminato la verità dietro questa espressione, rivelando che la rete viaria italiana attuale ha origini che risalgono a oltre duemila anni fa, rispecchiando l’ingegnosità dei romani.

Le strade principali dell’Italia moderna, contrassegnate da numeri che spaziano dall’1 all’8, come la Via Aurelia e la Via Appia, furono costruite in epoca romana, con Roma come punto di partenza. Questa straordinaria rete stradale, che si estende per circa 200.000 km, non è solo un lascito del passato, ma testimonia un’organizzazione logistica eccezionale. Ogni via, dai percorsi principali a quelli secondari, riconduce alla Città Eterna, evidenziando la capacità dei romani di connettere territori e persone.

L’espansione militare e commerciale dell’Impero Romano ha richiesto la costruzione di strade efficienti per garantire rifornimenti e movimentazione di risorse. Queste vie, costantemente mantenute e ampliate, non solo favorirono il commercio ma anche lo scambio di idee e culture, contribuendo a un’integrazione che ha caratterizzato la vita nell’impero.

Oggi, il proverbio assume un significato profondo, che va oltre il semplice riferimento geografico. La frase celebra la potenza di Roma come centro di cultura, commercio e innovazione, testimoniando un’epoca in cui la città ha esercitato un’influenza duratura sulla storia e sulla civiltà. In definitiva, si può affermare che, sia in senso metaforico che concreto, tutte le strade conducono a Roma.

Continua a leggere

DI TENDENZA

Riproduzione Riservata - Copyright © ASS. RADIO DEL BOSCO - redazione@adn24.it - PRIVACY