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Calabria

Cutro (KR) | ‘Ndrangheta in Emilia, chiesti 16 anni di carcere per Carmine Sarcone, incastrato anche dai pentiti.

Sono stati richiesti sedici anni di carcere per Carmine Sarcone, un 44enne originario di Cutro ma residente a Bibbiano, considerato uno dei membri principali della cosca Grande Aracri, trasferitasi in Emilia; mentre sono stati proposti quattro anni di reclusione per Raffaele Tovino, un 53enne di Cesena. Queste sono le condanne che il pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Bologna, Beatrice Ronchi, ha sollecitato alla Procura generale durante l’udienza davanti alla Corte d’Appello di Bologna per i due imputati coinvolti nel processo di secondo grado derivato dalla maxi-inchiesta “Aemilia”.

L’operazione, che ha visto il completamento dei tronconi processuali sia con procedura ordinaria che abbreviata fino alla Corte di Cassazione, è iniziata nel lontano gennaio del 2015 con decine di arresti in varie parti d’Italia, smantellando la cosca dei “cutresi” attiva non solo in Emilia. Tuttavia, Carmine Sarcone è stato arrestato nel gennaio del 2018 a Cutro mentre si trovava in visita ai suoi parenti.

La colonizzazione della ‘ndrangheta in Emilia Romagna

“Nel territorio considerato ‘di ‘ndrangheta’, come affermato da Antonio Valerio, collaboratore di giustizia con un passato nel mondo del crimine organizzato calabrese, c’era una mancanza di anticorpi evidente. Molte persone erano inclini alla sottomissione, all’accondiscendenza, alla complicità e alla vicinanza.”

Reggio Emilia è il territorio menzionato, e queste parole provengono dal processo Aemilia, che coinvolge Valerio e altri 116 individui arrestati il 28 gennaio 2015 nell’Emilia-Romagna, nell’operazione antimafia più significativa contro la ‘ndrangheta nel Nord Italia.

Emilia-Romagna, Lombardia, Calabria: interi paesi di queste tre regioni si svegliano quel fatidico 28 gennaio 2015 con il suono di sirene, elicotteri e auto della polizia. È l’inizio di tre operazioni coordinate: Aemilia, Pesci e Kyterion. Questo è solo l’inizio di un sistema di ‘ndrangheta che parte da Cutro, un piccolo comune in provincia di Crotone, e si estende fino a Reggio Emilia, Modena, Parma, Piacenza e Mantova.

In totale, 160 persone vengono arrestate in tutta Italia, di cui 117 solo in Emilia-Romagna. Questa regione, che credeva di essere immune alla presenza della mafia, viene colpita duramente dalle sirene dell’operazione antimafia. La Lombardia aveva già subito l’indagine Infinito cinque anni prima, mentre in Calabria c’erano state centinaia di operazioni simili. L’Emilia-Romagna, situata geograficamente al centro delle altre due regioni coinvolte nei blitz, diventa un crocevia cruciale, considerata una delle più importanti nella storia recente.

Il processo contro la ‘ndrangheta emiliana, iniziato nel marzo 2016, coinvolge 239 imputati e si svolge con misure cautelari e successivi blitz fino a luglio 2015. Tra gli imputati, 71 affrontano un rito abbreviato, 19 patteggiano, 2 vengono prosciolti, mentre 147 affrontano un processo ordinario per 189 capi di imputazione, inclusi associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsioni, usura, furti, incendi e traffico di droga. Oltre a questi reati, c’è anche l’infiltrazione e il radicamento della ‘ndrangheta nella regione, come documentato nelle ordinanze dell’operazione, con lo scopo di “acquisire direttamente e indirettamente la gestione e/o controllo di attività economiche”.

Il processo che si svolge tra Bologna e Reggio Emilia è senza precedenti per l’Emilia-Romagna, che non era preparata per un procedimento di tale portata. Le udienze preliminari si tengono in un padiglione della fiera della città, mentre il processo ordinario si svolge nel cortile del Tribunale di Reggio Emilia. Sia il tribunale che la fiera hanno dovuto essere attrezzati con aule bunker per ospitare centinaia di imputati, avvocati, giornalisti e cittadini, con controlli di sicurezza all’ingresso, celle per gli imputati in custodia, e sistemi di videosorveglianza e videoconferenza.

Il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti dichiara che questa è una svolta senza ritorno. Da quel giorno, i blitz contro i clan della ‘ndrangheta nella regione non si sono più fermati, grazie a nuove rivelazioni di collaboratori di giustizia e a nuove indagini, mettendo in luce un sistema che si è radicato in Emilia-Romagna dagli anni Ottanta.

Calabria

Lamezia Terme (CZ) | Arrestato 37enne per spaccio di droga

Nella giornata odierna, i Carabinieri della Stazione di Lamezia Terme Sambiase hanno arrestato un uomo di 37 anni in flagranza di reato per detenzione di sostanze stupefacenti ai fini di spaccio. L’operazione è scaturita da una perquisizione domiciliare effettuata presso l’abitazione dell’individuo, che ha portato al rinvenimento di circa 30 grammi di cocaina, insieme a piccole quantità di hashish e marijuana.

Durante la perquisizione, i militari hanno anche trovato materiale per il taglio, il peso e il confezionamento della droga. Tutto il materiale sequestrato è stato inviato per ulteriori analisi per confermare la composizione e la quantità esatta delle sostanze stupefacenti.

L’arrestato è stato inizialmente trasferito alla Casa Circondariale di Catanzaro. Successivamente, in sede di udienza di convalida, il Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.) del Tribunale di Lamezia Terme ha confermato la validità dell’arresto. Su richiesta della Procura della Repubblica di Lamezia Terme, l’indagato è stato sottoposto a misure cautelari che includono l’obbligo di dimora nel Comune di residenza e l’obbligo di presentazione periodica alla Polizia Giudiziaria.

Questa operazione dimostra il continuo impegno delle forze dell’ordine nella lotta contro il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti, con l’obiettivo di garantire la sicurezza e il benessere della comunità. Si ricorda che l’indagato, come previsto dalla legge, non può essere considerato colpevole fino alla pronuncia di una sentenza definitiva.

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Calabria

Cutro (KR) | Muore a 63 anni la moglie del sindaco, coinvolta in un incidente stradale mentre si recava a scuola

Un grave incidente stradale ha sconvolto la comunità di Cutro questa mattina, con la tragica morte di Chiara Olivo, moglie del sindaco Antonio Ceraso. L’insegnante di 63 anni, stava recandosi come di consueto al lavoro, alla scuola primaria Alcmeone di Crotone, quando la sua auto, una Fiat Punto, è stata coinvolta in un violento scontro frontale con una Jeep Renegade.

L’incidente è avvenuto sulla provinciale 63, in un tratto di strada noto per le sue curve pericolose. Per motivi ancora da chiarire, la Fiat Punto della vittima ha invaso la corsia opposta, dove si è scontrata con la Jeep che viaggiava in direzione contraria. L’impatto è stato particolarmente violento, con la Punto spinta verso il guardrail dopo essere stata colpita sul lato passeggero.

Chiara Olivo è rimasta intrappolata tra le lamiere della sua vettura, e solo grazie all’intervento tempestivo dei vigili del fuoco è stato possibile estrarla dall’auto. Anche il conducente della Jeep è stato soccorso e liberato dai rottami della sua vettura. Sul luogo sono intervenuti immediatamente i sanitari del 118, ma nonostante gli sforzi di rianimazione, per la donna non c’è stato nulla da fare: è deceduta a causa dei gravi traumi riportati.

Durante le operazioni di soccorso, la strada è stata chiusa per consentire l’intervento dell’elisoccorso, che è stato chiamato per prestare assistenza alle persone coinvolte. Le indagini sono in corso per chiarire la dinamica esatta dell’incidente. La morte di Chiara Olivo ha scosso profondamente la comunità locale, dove era conosciuta e apprezzata per il suo impegno come insegnante.

Il sindaco Antonio Ceraso e la sua famiglia hanno ricevuto in queste ore numerosi messaggi di cordoglio da parte delle istituzioni e dei cittadini, che si stringono attorno a loro in questo momento di dolore.

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Calabria

Crotone | Respinta nuova istanza, rimane in carcere l’attivista curda Madjidi accusata di essere una scafista

Maysoon Madjidi, attivista curda arrestata a Crotone il 31 dicembre 2023 con l’accusa di essere complice di un traffico di migranti, continua a rimanere in detenzione. Il Tribunale di Crotone ha respinto nuovamente la richiesta di modifica delle misure cautelari, rifiutando il passaggio dal carcere agli arresti domiciliari, una richiesta avanzata direttamente dall’imputata durante una dichiarazione spontanea. La giovane, che si dichiara innocente, è accusata di aver collaborato con il capitano di un’imbarcazione che ha portato 77 migranti sulle coste calabresi.

Durante l’udienza, durata oltre cinque ore, Madjidi ha difeso la propria posizione davanti al collegio penale presieduto dal giudice Edoardo D’Ambrosio. La donna ha contestato le accuse mosse da due migranti, un iraniano e un iracheno, che sostengono fosse l’aiutante del capitano, Akturk Ufuk, già reo confesso e processato con rito abbreviato. L’imputata ha ribadito di essere una vittima delle circostanze, spiegando di essere stata costretta a imbarcarsi come tutti gli altri passeggeri, senza alcun ruolo nella gestione del viaggio.

Madjidi, arrestata il 1° gennaio e detenuta presso il carcere di Reggio Calabria, ha raccontato di essere stata rinchiusa insieme agli altri migranti in attesa dell’imbarco e di aver continuato a cercare denaro fino a pochi giorni prima della partenza, cercando di pagarsi il viaggio attraverso prestiti. Ha anche sottolineato la sua appartenenza al partito curdo Komala, chiedendo come queste circostanze possano combaciare con l’accusa di essere una scafista.

Nel corso dell’udienza, sono state ascoltate le testimonianze di alcuni ufficiali della Guardia di Finanza, tra cui il tenente Gaetano Barbera, che ha ricostruito i fatti e difeso la validità delle accuse, basate principalmente sulle testimonianze di due migranti. Tuttavia, l’avvocato difensore di Madjidi, Giancarlo Liberati, ha messo in dubbio la solidità delle prove, domandandosi perché solo due persone siano state ascoltate e come mai lo Stato italiano non sia riuscito a rintracciare i testimoni chiave, che sono stati invece trovati da giornalisti in Inghilterra e Germania.

Nonostante queste perplessità, le accuse nei confronti di Maysoon Madjidi restano al centro del dibattito giudiziario. Il processo proseguirà con ulteriori udienze, mentre l’imputata continuerà a rimanere in carcere, in attesa di una sentenza definitiva che chiarirà la sua reale responsabilità nella vicenda.

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