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Scienza e Salute

Frutta Secca: un nemico nascosto per la salute dei denti

La frutta secca è spesso considerata un’opzione salutare, ricca di nutrienti e perfetta per uno spuntino veloce. Tuttavia, pochi sanno che potrebbe nascondere insidie per la salute dentale. Sebbene contenga numerosi benefici, questo alimento può causare seri danni ai denti se consumato frequentemente e senza le dovute precauzioni.

Il problema principale deriva dalla sua consistenza: essendo appiccicosa e ricca di zuccheri concentrati, la frutta secca tende a rimanere attaccata ai denti. Questo crea l’ambiente ideale per la proliferazione di batteri che, nutrendosi degli zuccheri, producono acidi dannosi per lo smalto dentale e irritanti per le gengive. Inoltre, la concentrazione zuccherina nella frutta essiccata può essere fino a sette volte maggiore rispetto alla frutta fresca, aumentando ulteriormente il rischio di carie.

Alcuni processi di essiccazione, soprattutto quelli industriali, aggiungono zuccheri e acidi, peggiorando il quadro. Infatti, spesso viene utilizzato succo di limone per incrementare la vitamina C, che abbassa il pH e rende la frutta secca ancora più corrosiva per i denti. Oltre alle carie, si possono verificare macchie e, in casi estremi, danni meccanici come rotture di denti o otturazioni, specialmente quando si consumano varietà più dure come mandorle e noci.

Gli esperti consigliano di moderare il consumo di frutta secca, preferendo prodotti senza zuccheri aggiunti e ricordando di lavare i denti e utilizzare il filo interdentale dopo averla mangiata.

Scienza e Salute

SAI CHE…le diete falliscono per colpa dei parenti?

Rispettare una dieta dimagrante può essere difficile non solo per questioni legate all’autocontrollo o alla tentazione del cibo, ma anche per l’influenza sociale esercitata da amici e parenti. La psicologa Jane Ogden, dell’Università del Surrey, ha evidenziato come le persone vicine a chi è a dieta possano inconsapevolmente ostacolarne i progressi. Questo accade attraverso comportamenti che vanno dall’offrire cibo proibito al minimizzare l’importanza della dieta o, in alcuni casi, non offrendo il supporto necessario. Secondo Ogden, spesso queste azioni sono guidate da buone intenzioni, come la preoccupazione per la salute dell’amico o l’idea che non ci sia bisogno di dimagrire.

Tuttavia, Ogden sottolinea che possono esserci anche motivazioni più sottili e meno altruistiche. Riconquistare il peso forma potrebbe aumentare l’autostima, l’attrattività e la sicurezza di sé di chi è a dieta, cambiando i rapporti di potere o dinamiche affettive all’interno delle relazioni. Questo timore, conscio o inconscio, può portare amici e parenti a sabotare, anche involontariamente, il percorso di dimagrimento del malcapitato.

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Curiosità

SAI PERCHE’…la pipì è gialla?

La pipì deve il suo caratteristico colore giallo a un processo complesso che coinvolge la distruzione dei globuli rossi e il lavoro della flora intestinale. Questo colore è legato alla bilirubina, una sostanza derivata dalla decomposizione dell’eme, il componente che trasporta l’ossigeno nei globuli rossi. Una volta che i globuli rossi completano il loro ciclo vitale (circa 120 giorni), l’eme viene trasformato in bilirubina, che passa dal fegato all’intestino. Qui, intervengono i batteri intestinali.

Il ruolo dell’enzima bilirubina reduttasi

Brantley Hall, Professore di Biologia Cellulare e Genetica Molecolare presso l’Università del Maryland, ha individuato un enzima cruciale nel processo: la bilirubina reduttasi. Questo enzima converte la bilirubina in urobilinogeno, un sottoprodotto privo di colore. Successivamente, l’urobilinogeno si degrada spontaneamente in urobilina, la sostanza che conferisce alla pipì la sua tipica sfumatura gialla.

Implicazioni per la salute

Sebbene la scoperta possa sembrare tecnica, ha potenziali implicazioni cliniche. La bilirubina, se non viene adeguatamente trasformata, può accumularsi nel corpo e causare problemi gravi, come danni cerebrali o condizioni pericolose per la salute. Il malfunzionamento della sua eliminazione è infatti collegato a patologie come l’ittero nei neonati, in cui la pelle e le mucose assumono un colore giallastro a causa di livelli elevati di bilirubina.

Patologie associate alla bilirubina

L’ittero si verifica soprattutto nei neonati, che hanno una capacità ridotta di degradare la bilirubina. Negli adulti, invece, problemi con la bilirubina possono manifestarsi in condizioni come le malattie infiammatorie intestinali o con la formazione di calcoli biliari. Queste problematiche potrebbero essere legate a una bassa presenza di microrganismi intestinali in grado di eliminare la bilirubina, un’ipotesi che sarà oggetto di studi futuri.

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Curiosità

Insonnia: lo stress attiva i neuroni che disturbano il sonno

Quando passiamo una notte agitata e piena di preoccupazioni, ci ritroviamo il giorno dopo con una memoria meno efficiente e le emozioni sregolate. Questo accade perché lo stress interrompe il sonno, interferendo con processi cruciali per la salute mentale e fisica. Uno studio pubblicato su Current Biology ha svelato come lo stress influisca direttamente su determinati neuroni nell’ipotalamo, causando risvegli brevi e frequenti (microrisvegli) che spezzano il normale ciclo del sonno.

Il ciclo del sonno

Il sonno è costituito da una sequenza di cinque fasi, suddivise in due categorie principali:

  1. Sonno non-REM (fasi da 1 a 4), che va dal sonno leggero a quello profondo.
  2. Sonno REM (Rapid Eye Movement), la fase in cui si sogna.

Ogni ciclo del sonno dura circa 90 minuti e si ripete diverse volte durante la notte. Il sonno profondo è particolarmente importante per il ripristino fisico e mentale, mentre il sonno REM è fondamentale per l’elaborazione delle emozioni e la memoria.

Lo studio sui neuroni VGLUT2

I ricercatori dell’Università della Pennsylvania hanno individuato una popolazione di neuroni glutammatergici (VGLUT2) nell’ipotalamo, che sono normalmente attivi durante la veglia e attivati ritmicamente durante il sonno non-REM. Lo stress manda “fuori tempo” questi neuroni, provocando un aumento dei microrisvegli notturni.

Nei topi esposti a situazioni di stress, l’attività dei neuroni VGLUT2 è risultata particolarmente intensa, portando a frequenti risvegli e a una riduzione complessiva del tempo trascorso sia in sonno non-REM che REM. Al contrario, quando i ricercatori hanno inibito l’attività di questi neuroni, i microrisvegli sono diminuiti e il sonno è diventato più lungo e stabile.

Prospettive future

Questo studio apre la strada a nuovi potenziali trattamenti per chi soffre di insonnia causata da stress o disturbi post-traumatici. La possibilità di regolare l’attività dei neuroni VGLUT2 tramite farmaci potrebbe migliorare la qualità del sonno, permettendo a chi ne soffre di riposare in modo più profondo e ristoratore.

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