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Curiosità

La bellezza del saluto

È capitato sicuramente a tutti di fare un’escursione in montagna e mentre si cammina ricevere un “buongiorno” e un sorriso da uno sconosciuto con cui ci si incrocia.

In montagna salutarsi è un’abitudine che c’è da sempre, un rito che si tramanda di saluto in saluto. Forse perché sul sentiero, con il nostro zaino sulle spalle, la fatica nelle gambe e la gioia di arrivare in cima si è tutti uguali, circondati dallo stesso panorama e uniti nella stessa passione.

Pensandoci bene anche i motociclisti si salutano con le due dita, indice e medio, a formare una V. I camperisti, invece, alzano una mano e lampeggiano, così come gli autotrasportatori.

Sembra che appartenere a uno stesso gruppo, con passioni o lavori in comune ci renda più empatici, più aperti agli altri e ci spinga a salutare anche chi non si conosce.

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Che cos’è un saluto

Salutare è un termine che deriva dal latino e significa “augurare salute”.

Nel dizionario possiamo trovare la seguente definizione: “rivolgere a una persona formule o gesti di amicizia, di rispetto, nel momento in cui la si incontra o la si lascia; accogliere; abbandonare; fare visita; acclamare”.

L’uomo è un “essere sociale” e il saluto è nato nel momento in cui si è reso conto di voler interagire con i suoi simili.

Nel mondo ci si saluta in tanti modi diversi: con un inchino, un abbraccio, un bacio o una mano sul cuore, ma la sostanza non cambia è un gesto gratuito che regala soddisfazione a chi lo offre e a chi lo riceve.

Perché in città non ci si scambiano saluti

Nelle grandi città, a causa del sovraffollamento e dei ritmi frenetici delle nostre giornate, si è persa la bella abitudine di salutare il prossimo, mentre nei piccoli centri o nei paesini di montagna, dove la vita scorre con più lentezza, si è più propensi ad aprirsi agli altri e a donare un buongiorno e un sorriso alle persone che si incontrano.

Inoltre, la tecnologia, se da una parte ci ha aiutato a essere più connessi gli uni con gli altri, dall’altra ci ha reso più soli.

Ci preoccupiamo di postare un buongiorno sui social media o di rispondere al commento di uno sconosciuto, ma ci costa un grande sforzo anche scambiare un sorriso con un vicino di casa.

La Città del Saluto

Montegaldella è un piccolo Comune in provincia di Vicenza che conta poco meno di 2.000 abitanti.

All’entrata della piccola località è posizionato un cartello che dà il benvenuto ai visitatori, recante la scritta “Paese del Saluto” con elencati i modi di dire “ciao” in diverse lingue.
A Montegaldella hanno attribuito il nome di “Città del Saluto” nel 2003 grazie a una campagna di sensibilizzazione dedicata.

Davanti al Municipio è stato installato il Monumento del Saluto, un bassorilievo di due metri di altezza in pietra dei Berici, realizzato dall’artista Guido de Tomasi di Vicenza. L’opera raffigura il viso di Albano Cozza, un’ottantenne di Montegaldella, che ha fatto da testimonial all’iniziativa.

Per l’occasione, è stato realizzato un sentiero ciclo pedonale di 7 km, “la Ciclabile del Saluto” che unisce la frazione di Ghizzole (VI) alla località di Cervarese S. Croce (PD).
Lungo il percorso si possono ammirare 20 Totem per scoprire le origini e la storia del saluto.

All’ingresso della ciclabile sono state posizionate due colonne su cui sono incise le immagini di due ciclisti che si salutano.

Il potere terapeutico di un saluto

Salutare non è solo un gesto di buona educazione: è anche un’apertura verso gli altri.
Chi saluta non si concentra solo su se stesso, ma crea un contatto con chiunque entri momentaneamente nella sua vita.

Salutare e regalare un sorriso equivale ad accogliere qualcuno nel proprio microcosmo, compiendo un atto di gentilezza che far stare bene e rende migliori.

Non sappiamo mai cosa stiano passando le persone che incrociamo tutti i giorni. A volte, regalare un saluto può aiutare chi sta attraversando un momento di difficoltà, rendendo il suo quotidiano più luminoso e facendolo sentire meno solo.

Una lezione di vita ci arriva da un Docente e scrittore americano, di origini italiane, Leo Buscaglia, che racconta di aver iniziato a salutare chiunque incontrasse sul proprio cammino e a un suo qualsiasi cenno c’era chi reagiva ricambiandolo, chi si girava altrove e chi chiedeva perplesso: “Ci conosciamo?”.
La risposta dell’intellettuale era: “No, ma potremmo conoscerci!”.

Il saluto è come un raggio di sole: arricchisce chi lo offre e scalda il cuore di chiunque lo riceva.

Da domani prova a far diventare questo gesto un’abitudine: noterai che le tue giornate saranno molto più luminose.

Curiosità

Cos’è il puntinismo?

Il puntinismo è una tecnica pittorica nata nell’ambito del post-impressionismo alla fine del XIX secolo, caratterizzata dall’uso di piccoli punti o macchie di colore puro applicati sulla tela in modo da creare un’immagine. Questa tecnica è stata sviluppata in particolare dai pittori Georges Seurat e Paul Signac, i principali esponenti del movimento.

1. Origine del Puntinismo

Il puntinismo nasce come evoluzione dell’impressionismo, che cercava di catturare l’effetto della luce e dell’atmosfera attraverso pennellate rapide e vibranti. Tuttavia, mentre gli impressionisti si concentravano su impressioni immediate e soggettive, i puntinisti si proponevano di applicare una tecnica più scientifica e sistematica al colore e alla composizione.

La nascita del puntinismo viene spesso attribuita a Georges Seurat, che, ispirato dagli studi scientifici sulla luce e sul colore, voleva sviluppare un metodo per rappresentare la realtà in modo più razionale e preciso. In particolare, Seurat era influenzato dalle teorie del divisionismo e della mescolanza ottica del colore.

2. Teorie Scientifiche sul Colore

Il puntinismo si basa su un principio scientifico di mescolanza ottica, che a sua volta si collega a studi sulla percezione visiva. Anziché mescolare i colori sulla tavolozza, i puntinisti applicavano piccoli punti di colori puri accostati sulla tela, in modo che fosse l’occhio dell’osservatore a mescolarli a distanza. Questo approccio si fondava sugli studi del chimico francese Michel Eugène Chevreul, che formulò la “legge dei contrasti simultanei”, e del fisico Ogden Rood, autore di un trattato sulla teoria dei colori.

In questo contesto, l’idea centrale era che accostando punti di colori complementari, come il blu e l’arancione, si potesse creare una luce e una vivacità superiori rispetto alla tradizionale mescolanza di colori sulla tavolozza.

3. Georges Seurat e il Puntinismo

Georges Seurat è considerato il fondatore del puntinismo. La sua opera più famosa, “Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte” (1884–1886), è un esempio iconico di questa tecnica. Seurat trascorse due anni lavorando su questa grande tela, applicando metodicamente piccoli punti di colore per creare l’immagine.

Seurat credeva che l’arte dovesse essere governata da principi scientifici e matematici, tanto che sviluppò un sistema di composizione che combinava elementi di armonia visiva e di contrasto cromatico. Le sue opere puntiniste cercavano di evocare non solo la luce, ma anche una sorta di equilibrio e calma, attraverso una composizione rigorosa.

4. Paul Signac e lo Sviluppo del Puntinismo

Dopo la morte precoce di Seurat nel 1891, Paul Signac divenne il principale sostenitore e promotore del puntinismo, che egli preferiva chiamare “divisionismo”. Signac contribuì a diffondere la tecnica tra altri artisti e continuò a esplorarne le potenzialità nel corso della sua carriera, sebbene con uno stile più libero rispetto a quello di Seurat.

Signac utilizzava punti e tratti di pennello leggermente più ampi rispetto al metodo puntiforme preciso di Seurat, ottenendo effetti più spontanei e vivaci. Tra le sue opere più rappresentative c’è “Porto di Saint-Tropez” (1899), che mostra l’uso di colori brillanti e un’attenzione al paesaggio costiero.

5. Eredità e Influenza

Il puntinismo non ebbe una diffusione capillare come altri movimenti artistici, ma esercitò una forte influenza su artisti e movimenti successivi. Esso contribuì a consolidare l’idea che l’arte potesse essere legata a principi scientifici e tecnici, anticipando così aspetti del cubismo e dell’astrattismo.

  • Vincent van Gogh fu influenzato dal puntinismo per un breve periodo, come si può vedere in alcune sue opere come “La Ronda dei prigionieri” (1890), dove utilizza piccoli tratti di colore puro.
  • Henri Matisse, durante i primi anni della sua carriera, sperimentò con la tecnica puntinista, che influenzò il suo uso successivo del colore in maniera non realistica.
  • Il Divisionismo Italiano: In Italia, il puntinismo influenzò il divisionismo, un movimento parallelo che coinvolse artisti come Giovanni Segantini, Giuseppe Pellizza da Volpedo e Gaetano Previati. Questi artisti utilizzavano una tecnica simile, ma con una maggiore attenzione ai temi sociali e simbolici, come si può vedere nell’opera “Il Quarto Stato” di Pellizza da Volpedo.

6. Declino e Transizione

Con l’inizio del XX secolo, il puntinismo come tecnica pura iniziò a declinare. Gli artisti delle avanguardie si allontanarono da questa metodologia rigida, preferendo approcci più espressivi o astratti. Tuttavia, l’influenza del puntinismo si estese alle generazioni successive, specialmente per quanto riguarda la teoria del colore e la sua applicazione artistica.

Il puntinismo è stato una delle correnti più innovative del post-impressionismo, cercando di combinare scienza e arte in un nuovo metodo di pittura. Nonostante la sua breve durata come movimento centrale, la sua influenza si è estesa oltre i confini del XIX secolo, lasciando un segno duraturo nella storia dell’arte. Georges Seurat e Paul Signac hanno aperto la strada a una nuova comprensione del colore e della luce, influenzando profondamente le future esplorazioni artistiche del Novecento.

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Curiosità

Antico Egitto: Chi erano gli scribi?

1. Chi erano gli scribi

Gli scribi nell’antico Egitto erano professionisti specializzati nella scrittura e nell’amministrazione. Erano generalmente maschi, anche se ci sono prove che alcune donne potessero svolgere questo ruolo. La loro posizione era di grande prestigio nella società egizia, e spesso provenivano da famiglie di ceto medio o alto, poiché l’istruzione e la formazione necessarie per diventare scribi erano costose.

2. Formazione degli scribi

  • Educazione: Gli scribi iniziavano la loro formazione fin da giovani, di solito intorno ai 5-10 anni. Frequentavano scuole specializzate, dove imparavano a scrivere in geroglifico e geratico, oltre a nozioni di matematica, geometria, religione e amministrazione.
  • Tecniche di scrittura: I ragazzi praticavano la scrittura su papiro (una forma primitiva di carta realizzata dalla pianta di papiro), utilizzando strumenti come il calamo (una sorta di penna) intinto in inchiostro. La scrittura era un’abilità complessa che richiedeva anni di pratica.

3. Tipi di scrittura

  • Geroglifici: Utilizzati per testi sacri, monumenti e documenti ufficiali. Era una forma di scrittura artistica, composta da simboli che rappresentano suoni e idee.
  • Geratico: Una forma corsiva dei geroglifici, usata per la scrittura quotidiana e documenti amministrativi. Era più veloce da scrivere e più pratica per l’uso quotidiano.
  • Demotico: Sviluppatosi più tardi, questa scrittura era ancora più semplificata e utilizzata per testi legali e commerciali.

4. Funzioni degli scribi

  • Documentazione amministrativa: Gli scribi redigevano documenti relativi a tasse, distribuzione di grano e proprietà terriere. Questa funzione era cruciale per il funzionamento dell’amministrazione centrale e locale.
  • Testi religiosi: Scrivevano e copiavano inni, preghiere e testi funerari, come il “Libro dei Morti”, che accompagnavano i defunti nel loro viaggio nell’aldilà.
  • Letteratura: Componendo opere di poesia e saggi, contribuivano alla cultura e alla tradizione letteraria egizia. Alcuni dei testi più celebri, come i racconti di “Sinuhé”, sono stati scritti o copiati da scribi.
  • Insegnamento: Alcuni scribi, più esperti, insegnavano in scuole e formavano nuove generazioni di scribi.

5. Strumenti e materiali

  • Papiro: Il materiale principale su cui scrivevano. Il papiro era ottenuto dalla pianta di papiro, che cresceva lungo il Nilo. Era leggero e relativamente facile da produrre.
  • Calamo e inchiostro: Usavano un calamo, spesso fatto di canna, per scrivere. L’inchiostro era fatto con sostanze naturali, come carbone e acqua.
  • Sigilli e contenitori: Gli scribi usavano anche sigilli per autenticare documenti e contenitori per conservare i papiri.

6. Status sociale e professionale

  • Prestigio: Gli scribi godevano di un buon status sociale. Erano considerati custodi della conoscenza e della cultura, e la loro abilità era fondamentale per l’amministrazione e la vita religiosa.
  • Compensazione: Spesso ricevevano stipendi, terreni o altri benefici in cambio dei loro servizi. Gli scribi più esperti potevano ottenere posizioni di alto rango nell’amministrazione.

7. Declino della professione

Con l’arrivo della dominazione greca e romana, e la successiva diffusione del cristianesimo, il sistema di scrittura geroglifica cominciò a declinare. La scrittura demotica e poi il greco divennero predominanti, portando a una diminuzione della necessità di scribi addestrati in geroglifici.

In sintesi, gli scribi erano figure centrali nella società egizia, responsabili non solo della scrittura, ma anche della registrazione della storia, della cultura e della vita quotidiana dell’antico Egitto. La loro eredità è testimoniata dai numerosi testi e iscrizioni che sono giunti fino a noi.

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Curiosità

Quali sono le fasi di una rottura “amorosa”?

1. Negazione

In questa fase, è comune non accettare immediatamente la realtà della rottura. Si può sperare che sia solo un malinteso o una fase temporanea. I pensieri possono oscillare tra il voler ricostruire la relazione e la paura di affrontare la perdita. Spesso si evita di parlare della situazione con amici o familiari, per non dover affrontare la verità.

2. Rabbia

La rabbia è una reazione normale e può manifestarsi in vari modi. Si può provare risentimento verso il partner per come sono andate le cose, ma anche verso se stessi per le decisioni prese. Questa fase può portare a conflitti, sia interni che esterni, e ci si può sentire molto vulnerabili. È importante trovare modi sani per esprimere e gestire questa emozione.

3. Contrattazione

In questa fase, si cerca di trovare soluzioni per salvare la relazione. Potrebbero emergere pensieri del tipo “se solo avessi fatto questo” o “se potessimo tornare indietro”. Si potrebbe anche tentare di contattare l’ex partner per discutere la situazione, sperando che ci sia una possibilità di riconciliazione. Questa fase riflette il desiderio di riparare il dolore e riunirsi.

4. Depressione

Quando la realtà della rottura si fa più concreta, è normale provare un profondo senso di tristezza e perdita. In questa fase, si possono avere sintomi di depressione, come mancanza di energia, apatia, perdita di interesse in attività che prima erano piacevoli e isolamento sociale. È cruciale non trascurare questi sentimenti e, se necessario, cercare supporto.

5. Accettazione

La fase finale implica l’accettazione della situazione. Si inizia a elaborare la perdita e a comprendere che la vita deve andare avanti. Questa fase non significa necessariamente che si è completamente superata la relazione, ma si comincia a guardare al futuro con una nuova prospettiva. Ci si può sentire pronti a riconnettersi con gli amici, riprendere hobby o esplorare nuove relazioni.

Fattori Influenzanti

È importante notare che non tutti attraversano queste fasi in modo lineare o in sequenza. Alcune persone potrebbero saltare fasi, tornare indietro o vivere alcune di esse più intensamente di altre. La personalità, il contesto della relazione e il supporto sociale giocano un ruolo cruciale nel processo di elaborazione del dolore.

Durante tutto il processo, è fondamentale prendersi cura di sé. Attività come esercizio fisico, meditazione, journaling o parlare con amici fidati possono essere di grande aiuto. In alcuni casi, può essere utile anche il supporto di un professionista, come un terapeuta, per affrontare meglio le emozioni e la situazione.

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