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Curiosità

SAI PERCHE…Le carote sono arancioni?

Passeggiando tra le vivaci bancarelle del mercato, ci imbattiamo in un tripudio di colori: pomodori rossi rubino, peperoni verdi smeraldo, melanzane viola intenso. Tra questa “tavolozza vegetale” spicca un ortaggio per la sua colorazione vivace: la carota.

E se vi dicessimo che il colore delle carote non è sempre stato arancione? Un tempo, questi ortaggi vantavano una gamma di sfumature ben più ampia, dal viola al giallo, dal bianco al nero. Facciamo un passo indietro nella storia.

La leggenda…
Per raccontare l’origine delle carote arancioni in Europa, dobbiamo tornare al XVII secolo e più precisamente a Guglielmo d’Orange, il re olandese salito al trono d’Inghilterra nel 1688.

Si narra che, per celebrare la sua ascesa al potere, il monarca straniero abbia incoraggiato la coltivazione di carote arancioni, il colore simbolo della sua casa reale, trasformandole in un emblema del regno.

La realtà, come spesso accade, è più complessa e sfumata. Sebbene le carote in Europa non siano sempre state arancioni, la leggenda del loro legame con Guglielmo d’Orange rimane tale.

…e la realtà storica
L’ascesa della carota arancione in Inghilterra è stata un processo graduale, influenzato da una serie di fattori più complessi del semplice patriottismo regio.

Tra questi fattori, la crescente preferenza del mercato per questo colore, l’introduzione di nuove varietà da parte dei coltivatori olandesi e, probabilmente, anche il miglioramento del sapore e delle proprietà nutritive della carota arancione rispetto alle altre varietà.

Curiosità

SAI PERCHE’…la pipì è gialla?

La pipì deve il suo caratteristico colore giallo a un processo complesso che coinvolge la distruzione dei globuli rossi e il lavoro della flora intestinale. Questo colore è legato alla bilirubina, una sostanza derivata dalla decomposizione dell’eme, il componente che trasporta l’ossigeno nei globuli rossi. Una volta che i globuli rossi completano il loro ciclo vitale (circa 120 giorni), l’eme viene trasformato in bilirubina, che passa dal fegato all’intestino. Qui, intervengono i batteri intestinali.

Il ruolo dell’enzima bilirubina reduttasi

Brantley Hall, Professore di Biologia Cellulare e Genetica Molecolare presso l’Università del Maryland, ha individuato un enzima cruciale nel processo: la bilirubina reduttasi. Questo enzima converte la bilirubina in urobilinogeno, un sottoprodotto privo di colore. Successivamente, l’urobilinogeno si degrada spontaneamente in urobilina, la sostanza che conferisce alla pipì la sua tipica sfumatura gialla.

Implicazioni per la salute

Sebbene la scoperta possa sembrare tecnica, ha potenziali implicazioni cliniche. La bilirubina, se non viene adeguatamente trasformata, può accumularsi nel corpo e causare problemi gravi, come danni cerebrali o condizioni pericolose per la salute. Il malfunzionamento della sua eliminazione è infatti collegato a patologie come l’ittero nei neonati, in cui la pelle e le mucose assumono un colore giallastro a causa di livelli elevati di bilirubina.

Patologie associate alla bilirubina

L’ittero si verifica soprattutto nei neonati, che hanno una capacità ridotta di degradare la bilirubina. Negli adulti, invece, problemi con la bilirubina possono manifestarsi in condizioni come le malattie infiammatorie intestinali o con la formazione di calcoli biliari. Queste problematiche potrebbero essere legate a una bassa presenza di microrganismi intestinali in grado di eliminare la bilirubina, un’ipotesi che sarà oggetto di studi futuri.

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Curiosità

Perchè quando abbiamo l’influenza ci sentiamo tristi?

Quando ci si ammala, è normale sentirsi più irritabili, stanchi, e privi di energie, ma la causa di questo malessere non è tanto il virus o il batterio in sé, quanto la risposta del sistema immunitario. Il nostro corpo reagisce all’infezione attivando le citochine pro-infiammatorie, proteine-segnale che comunicano tra le cellule del sistema immunitario e raggiungono vari organi, incluso il cervello. Una volta lì, possono influenzare l’umore, portando a sensazioni di stanchezza, ansia, depressione e la voglia di stare da soli.

Studi scientifici, come quello condotto all’Ospedale Universitario di Essen, hanno dimostrato che iniettando sostanze che simulano la presenza di batteri (senza un’infezione reale), il sistema immunitario risponde come se fosse in corso una malattia. I volontari hanno riportato sintomi come fatica, disinteresse per le attività, e persino stati d’animo ansiosi o depressivi, proprio a causa dell’azione delle citochine.

Ma perché il nostro corpo ci fa sentire così male? Il motivo è che, per combattere l’infezione, il sistema immunitario ha bisogno di tutte le energie disponibili. Il malessere, l’apatia e il desiderio di evitare interazioni sociali sono meccanismi attraverso i quali l’organismo ci costringe a riposare e a non sprecare energie in attività non essenziali. Questo stato di “pausa” forzata è parte di una strategia evolutiva per velocizzare la guarigione, garantendo che il corpo possa dedicarsi completamente alla lotta contro il patogeno.

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Curiosità

Insonnia: lo stress attiva i neuroni che disturbano il sonno

Quando passiamo una notte agitata e piena di preoccupazioni, ci ritroviamo il giorno dopo con una memoria meno efficiente e le emozioni sregolate. Questo accade perché lo stress interrompe il sonno, interferendo con processi cruciali per la salute mentale e fisica. Uno studio pubblicato su Current Biology ha svelato come lo stress influisca direttamente su determinati neuroni nell’ipotalamo, causando risvegli brevi e frequenti (microrisvegli) che spezzano il normale ciclo del sonno.

Il ciclo del sonno

Il sonno è costituito da una sequenza di cinque fasi, suddivise in due categorie principali:

  1. Sonno non-REM (fasi da 1 a 4), che va dal sonno leggero a quello profondo.
  2. Sonno REM (Rapid Eye Movement), la fase in cui si sogna.

Ogni ciclo del sonno dura circa 90 minuti e si ripete diverse volte durante la notte. Il sonno profondo è particolarmente importante per il ripristino fisico e mentale, mentre il sonno REM è fondamentale per l’elaborazione delle emozioni e la memoria.

Lo studio sui neuroni VGLUT2

I ricercatori dell’Università della Pennsylvania hanno individuato una popolazione di neuroni glutammatergici (VGLUT2) nell’ipotalamo, che sono normalmente attivi durante la veglia e attivati ritmicamente durante il sonno non-REM. Lo stress manda “fuori tempo” questi neuroni, provocando un aumento dei microrisvegli notturni.

Nei topi esposti a situazioni di stress, l’attività dei neuroni VGLUT2 è risultata particolarmente intensa, portando a frequenti risvegli e a una riduzione complessiva del tempo trascorso sia in sonno non-REM che REM. Al contrario, quando i ricercatori hanno inibito l’attività di questi neuroni, i microrisvegli sono diminuiti e il sonno è diventato più lungo e stabile.

Prospettive future

Questo studio apre la strada a nuovi potenziali trattamenti per chi soffre di insonnia causata da stress o disturbi post-traumatici. La possibilità di regolare l’attività dei neuroni VGLUT2 tramite farmaci potrebbe migliorare la qualità del sonno, permettendo a chi ne soffre di riposare in modo più profondo e ristoratore.

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