Connect with us

Calabria

Morto il Boss Messina Denaro: i legami con la ‘ndrangheta e la fuga in Calabria | Video

Matteo Messina Denaro morto a 62 anni nel reparto detenuti dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, Boss stragista di Cosa Nostra, condannato per le stragi di Capaci e via D’Amelio e per gli eccidi del 1993 a Roma, Firenze e Milano, oltre che per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, porta via con sé informazioni importanti che ha deciso dopo la sua cattura di non rivelare agli inquirenti. Con la sua morte, a poco più di 8 mesi dalla sua cattura dopo oltre 30 anni di latitanza, si chiude una pagina storica della criminalità organizzata del nostro Paese.

Gli investigatori raccontano che Messina Denaro avrebbe trascorso almeno fino al 2018 un periodo della sua latitanza tra le province di Cosenza e Crotone prima della fuga definitiva a Campobello di Mazara. Alcuni pentiti raccontano dell’acquisto di immobili in Calabria intestati a dei prestanome dove Messina Denaro avrebbe trovato rifugio. Una decina di anni fa nell’ambito di un’inchiesta sul business del fotovoltaico, un imprenditore ritenuto un fedelissimo del Boss, si era visto sequestrare una serie di società che avevano fittato numerosi terreni di proprietà delle principali famiglie mafiose della Locride. Grazie alla protezione della ‘ndrangheta si sarbbe rifugiato anche a Lamezia Terme e Cosenza città in cui il boss avrebbe avuto anche diversi affari: da quello dei traffici di droga alla realizzazione di un villaggio turistico e di impianti eolici. Nelle indagini si parla anche di segnalazioni secondo le quali il Boss Messina Denaro si sarebbe rifiugiato anche nella Piana di Gioia Tauro. Tutti indizi sui quali le indagini delle Procure potranno far luce per ricostruire la verità che il Boss con la sua morte ha portato con sé.

Morto il Boss Messina Denaro: i legami con la 'ndrangheta e la fuga in Calabria

Matteo Messina Denaro morto a 62 anni nel reparto detenuti dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, Boss stragista di Cosa Nostra, condannato per le stragi di Capaci e via D’Amelio e per gli eccidi del 1993 a Roma, Firenze e Milano, oltre che per l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, porta via con sé informazioni importanti che ha deciso dopo la sua cattura di non rivelare agli inquirenti. Con la sua morte, a poco più di 8 mesi dalla sua cattura dopo oltre 30 anni di latitanza, si chiude una pagina storica della criminalità organizzata del nostro Paese.

Gli investigatori raccontano che Messina Denaro avrebbe trascorso almeno fino al 2018 un periodo della sua latitanza tra le province di Cosenza e Crotone prima della fuga definitiva a Campobello di Mazara. Alcuni pentiti raccontano dell’acquisto di immobili in Calabria intestati a dei prestanome dove Messina Denaro avrebbe trovato rifugio. Una decina di anni fa nell’ambito di un’inchiesta sul business del fotovoltaico, un imprenditore ritenuto un fedelissimo del Boss, si era visto sequestrare una serie di società che avevano fittato numerosi terreni di proprietà delle principali famiglie mafiose della Locride. Grazie alla protezione della ‘ndrangheta si sarbbe rifugiato anche a Lamezia Terme e Cosenza città in cui il boss avrebbe avuto anche diversi affari: da quello dei traffici di droga alla realizzazione di un villaggio turistico e di impianti eolici. Nelle indagini si parla anche di segnalazioni secondo le quali il Boss Messina Denaro si sarebbe rifiugiato anche nella Piana di Gioia Tauro. Tutti indizi sui quali le indagini delle Procure potranno far luce per ricostruire la verità che il Boss con la sua morte ha portato con sé.

Calabria

Crotone | 31 arresti e dinamiche interne della ‘Ndrangheta allo scoperto

I Carabinieri del Comando Provinciale di Crotone, con il supporto delle unità di Catanzaro, Vibo Valentia, Cosenza e dello Squadrone Eliportato Cacciatori di Calabria, hanno eseguito un’importante operazione antimafia, portando all’arresto di 31 persone. Il provvedimento cautelare, emesso dal G.I.P. del Tribunale di Catanzaro su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA), prevede per 15 indagati la custodia cautelare in carcere, per 7 gli arresti domiciliari e per 9 l’obbligo di dimora. Gli individui coinvolti sono accusati di vari reati, tra cui associazione mafiosa, estorsione, usura, traffico di stupefacenti e reati legati alle armi e agli esplosivi.

Le indagini, avviate nell’ottobre del 2020 a seguito di un episodio estorsivo nei confronti di un imprenditore di Cutro, hanno progressivamente rivelato le dinamiche interne alla ‘ndrangheta nella zona di Cutro, con particolare riferimento alla famiglia Martino, legata al boss Nicolino Grande Aracri. Questa famiglia, attiva dopo l’arresto del boss, si contrappone alla cosca Ciampà-Dragone, tentando di affermarsi come un gruppo autonomo all’interno della ‘ndrangheta.

L’inchiesta si inserisce nel solco delle precedenti operazioni antimafia “Kyterion” e “Aemilia”, trovando conferme anche nelle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia. Gli investigatori hanno documentato l’esistenza di una rete di traffico di droga che operava principalmente lungo la direttrice Cutro-Cosenza-Catanzaro, con particolare attenzione al capoluogo calabrese. I proventi delle attività criminali servivano a sostenere economicamente gli affiliati e le famiglie dei detenuti.

L’indagine ha messo in luce il controllo capillare del territorio attraverso intimidazioni, estorsioni ai danni di imprenditori e attività usuraie. Sono stati inoltre scoperti due sequestri di armi avvenuti nel 2021 e nel 2022, confermando la disponibilità di armamenti da parte degli indagati. Anche le intercettazioni telefoniche e ambientali, unitamente alle operazioni di pedinamento e osservazione, hanno giocato un ruolo cruciale nella raccolta di prove.

Durante l’esecuzione delle misure cautelari, sono state condotte perquisizioni personali e domiciliari nei confronti degli indagati, aggiungendo ulteriori elementi all’inchiesta in corso.

Continua a leggere

Calabria

Reggio Calabria | Sgominata organizzazione dedita al furto di macchine operatrici e attrezzature da cantiere

Un’importante operazione condotta dalla Polizia Stradale di Reggio Calabria ha portato all’esecuzione di nove misure cautelari nei confronti di un gruppo accusato di associazione per delinquere finalizzata al furto di macchine operatrici e veicoli commerciali. Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica locale, hanno rivelato un’ampia rete di furti e rivendita di attrezzature rubate in vari paesi dell’Est Europa e del Nord Africa.

Le indagini sono partite da un furto avvenuto nel novembre 2018, quando una macchina operatrice è stata sottratta da un cantiere per i lavori di ristrutturazione dell’Autostrada A2. Successivamente, il veicolo è stato ritrovato a Reggio Calabria all’interno di un autocarro rubato. Nel corso degli anni, altri furti simili hanno coinvolto diverse attrezzature, inclusi mezzi di proprietà comunale, evidenziando un modus operandi sistematico.

Grazie a tecniche investigative avanzate, gli agenti hanno identificato un gruppo criminoso responsabile di circa 80 furti, che ha operato non solo in Calabria, ma anche in Toscana ed Emilia Romagna, accumulando un valore complessivo dei beni rubati di oltre 1,7 milioni di euro.

Il Giudice per le Indagini Preliminari ha accolto la richiesta di misure cautelari, ordinando la custodia domiciliare per i nove indagati, mentre altre 40 persone sono state segnalate come coinvolte nell’attività criminale. L’operazione ha visto il coinvolgimento di circa 50 agenti della Polizia Stradale e delle Squadre di Polizia Giudiziaria di diverse province, dimostrando l’impegno delle forze dell’ordine nella lotta contro il crimine organizzato.

Continua a leggere

Attualità

Castrovillari (CS) | Reparti ospedalieri otorino e pneumologia a rischio chiusura

L’ospedale “Pasquale Ferrari” sta affrontando gravi difficoltà operative, in particolare nei reparti di Otorinolaringoiatria e Pneumologia. Nonostante gli sforzi degli operatori sanitari, la situazione continua a destare preoccupazione: l’Otorino è a rischio di chiusura e la Pneumologia fatica a mantenere un numero adeguato di medici.

A settembre, l’assenza di un potenziamento significativo del personale ha aggravato le emergenze già esistenti. Con due medici in procinto di lasciare il servizio, l’Otorino si trova in una situazione critica, mentre la Pneumologia è in continua ricerca di nuovo personale, sia medico che infermieristico.

Questi problemi non sono nuovi; le difficoltà si accumulano da tempo e necessitano di interventi urgenti. Le lunghe liste d’attesa e la crescente richiesta di servizi ambulatoriali da parte della comunità locale evidenziano l’importanza di una sanità pubblica efficiente e reattiva.

Anche altri reparti, come Neurologia e Gastroenterologia, si trovano in una fase di emergenza. Le attese per le cure sono sempre più pesanti, mentre i lavori previsti per il Pronto Soccorso non sembrano risolvere i problemi strutturali più ampi che affliggono l’ospedale.

Un’altra questione cruciale è la situazione dell’Ortopedia-Traumatologia, chiusa nel 2014 e riaperta solo parzialmente successivamente. Nonostante gli annunci di un nuovo team medico e di piani per ripristinare i ricoveri, l’assenza di azioni concrete da parte dell’Asp ha portato a un immobilismo preoccupante.

In sintesi, il “Pasquale Ferrari” ha bisogno urgente di un rafforzamento del personale per poter ripristinare l’efficacia dei suoi servizi. Solo un investimento mirato e tempestivo nel capitale umano potrà garantire un futuro più stabile e di qualità per la sanità locale.

Continua a leggere

DI TENDENZA

Riproduzione Riservata - Copyright © Gruppo ADN Italia srl - P.Iva 02265930798 - redazione@adn24.it - PRIVACY