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Curiosità

Storia dei Babbilonesi

I Babilonesi erano un antico popolo della Mesopotamia, un’area storica che si trova tra i fiumi Tigri ed Eufrate, corrispondente all’attuale Iraq. La civiltà babilonese raggiunse il suo apice tra il 18° e il 6° secolo a.C., con Babilonia che divenne una delle città più importanti e influenti del mondo antico.

Caratteristiche principali dei Babilonesi:

  1. Origini e Storia: I Babilonesi succedettero agli Accadi e ai Sumeri nella regione mesopotamica. La loro civiltà si sviluppò soprattutto sotto la dinastia di Hammurabi (circa 1792-1750 a.C.), il re più famoso di Babilonia, noto per aver creato uno dei primi codici di leggi scritte della storia, il Codice di Hammurabi.
  2. Cultura e Religione: I Babilonesi avevano una ricca tradizione culturale e religiosa, influenzata dalle civiltà sumera e accadica. Erano politeisti e adoravano molte divinità, tra cui Marduk, il dio patrono di Babilonia. La loro religione influenzava profondamente la vita quotidiana e la struttura politica della società.
  3. Contributi Scientifici e Culturali: I Babilonesi furono abili matematici e astronomi. Svilupparono un sistema di numerazione basato sul numero 60, che è alla base dell’attuale sistema di misurazione del tempo (ore, minuti e secondi). La loro conoscenza dell’astronomia era avanzata per l’epoca, e furono in grado di prevedere eclissi e altri fenomeni celesti.
  4. Architettura e Urbanistica: Babilonia era famosa per i suoi grandi edifici, tra cui la celebre Torre di Babele e i Giardini Pensili, uno delle sette meraviglie del mondo antico (sebbene l’esistenza dei giardini sia dibattuta). La città era anche conosciuta per le sue mura imponenti e le porte monumentali, come la Porta di Ishtar.
  5. Declino: L’impero babilonese cadde nel 539 a.C., quando Ciro il Grande, re dei Persiani, conquistò Babilonia. Dopo questa conquista, la città e la civiltà babilonese persero gradualmente la loro importanza.

I Babilonesi hanno lasciato un’impronta duratura nella storia antica grazie ai loro contributi nella legge, nella scienza, nell’architettura e nella cultura, che hanno influenzato molte civiltà successive.

Curiosità

SAI CHE…se lasci la pasta al dente ne mangi di meno?

Se ami la pasta ma stai cercando di seguire una dieta equilibrata, c’è una soluzione che ti permetterà di continuare a gustare il tuo piatto preferito senza compromettere i tuoi obiettivi di salute. Secondo uno studio condotto dalla Wageningen University & Research nei Paesi Bassi, cucinare la pasta al dente potrebbe essere la chiave per limitare l’assunzione di calorie.

La ricerca ha coinvolto un gruppo di volontari a cui sono stati serviti diversi tipi di piatti di pasta per tre giorni consecutivi. I partecipanti hanno assaggiato penne cucinate sia al dente (per 7 minuti) sia molto cotte (per 20 minuti), insieme a carote preparate con tempi di cottura simili (20 minuti o 2 minuti). I risultati hanno mostrato che i piatti preparati con ingredienti ben cotti e quindi più morbidi sono stati consumati il 45% più velocemente rispetto a quelli cucinati al dente.

Consumare il cibo più velocemente può portare a un’assunzione maggiore di calorie, poiché non si dà al corpo il tempo necessario per riconoscere il senso di sazietà. Infatti, il segnale di pienezza al cervello, attivato dagli ormoni, impiega dai 15 ai 20 minuti per manifestarsi. Mangiare lentamente, masticando bene ogni boccone, può quindi aiutare a ridurre l’apporto calorico complessivo. Studi precedenti hanno infatti rilevato che chi consuma il cibo rapidamente ha una probabilità tre volte maggiore di essere in sovrappeso. Inoltre, masticare ogni boccone circa 40 volte può ridurre l’assunzione di calorie del 10%, rispetto a masticare solo 15 volte.

Oltre a questi benefici, consumare la pasta al dente ha un altro vantaggio: aiuta a mantenere un livello di zuccheri nel sangue più stabile, riducendo il rischio di un picco glicemico che può contribuire all’aumento di peso. In conclusione, per chi cerca di seguire una dieta senza rinunciare al piacere della pasta, cuocerla al dente può essere un trucco utile per mangiare meno e mantenere un’alimentazione più sana.

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Curiosità

SAI CHE…La voce della Mamma aiuta i neonati prematuri

Una nuova ricerca pubblicata su Scientific Reports e condotta dalle università di Ginevra e Val d’Aosta, con la partecipazione dell’ospedale Parini di Aosta, dimostra che la voce della madre può alleviare il dolore nei neonati prematuri durante le procedure mediche. Questo studio rivela che il semplice parlare o cantare della mamma può fare una grande differenza nella gestione del dolore per i piccoli pazienti in terapia intensiva.

Il Potere della Voce Materna

I neonati prematuri spesso affrontano procedure mediche dolorose come intubazioni e prelievi di sangue, e le opzioni per il controllo del dolore sono limitate per evitare effetti collaterali sul loro sviluppo. La ricerca ha scoperto che la presenza della madre, attraverso il suo parlare o cantare, può significativamente ridurre i segnali di dolore nei neonati. Questo studio si è concentrato sulla voce materna, poiché i padri sono generalmente meno presenti nei primi giorni di vita del bambino.

Il Test: Parla o Canta, Mamma

Per l’esperimento, sono stati seguiti 20 neonati prematuri ricoverati presso l’ospedale Umberto Parini di Aosta. Le madri sono state invitate a partecipare durante le procedure di prelievo di sangue, che avvengono prelevando gocce dal tallone. Lo studio è stato suddiviso in tre fasi: nella prima fase, il neonato ha subito il prelievo senza la presenza della madre; nella seconda fase, la madre parlava al bambino; e nella terza fase, la madre cantava. L’ordine di queste condizioni è stato variato in modo casuale.

Misurare il Dolore e l’Ossitocina

Durante le procedure, sono stati monitorati i segnali di dolore del neonato attraverso il Preterm Infant Pain Profile (PIPP), che valuta le espressioni facciali e i parametri fisiologici. I risultati hanno mostrato che il livello di dolore era significativamente più basso quando la madre parlava, con un punteggio PIPP di 3 rispetto a 4,5 quando era assente. Anche il canto materno ha mostrato un effetto alleviante, ma in misura minore, con un punteggio di 3,8.

Inoltre, i ricercatori hanno misurato i livelli di ossitocina, l’ormone associato al benessere e alla gestione del dolore, tramite campioni di saliva. I livelli di ossitocina sono aumentati significativamente da 0,8 picogrammi per millilitro a 1,4 quando la madre parlava al bambino. Questo conferma che la voce della madre non solo riduce il dolore percepito ma promuove anche un aumento dell’ormone del benessere.

Questo studio offre un’importante conferma del potere calmante della voce materna sui neonati prematuri, suggerendo che l’interazione verbale con la madre può essere una strategia efficace per alleviare il dolore durante le procedure mediche. I risultati sottolineano il valore della presenza emotiva e fisica della madre nel supporto dei neonati in situazioni critiche.

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SI CHE…La sindrome del “cuore infranto” parte dal cervello

La sindrome del cuore infranto, conosciuta anche come sindrome di Takotsubo, è una condizione cardiaca che può essere scatenata da un forte stress emotivo. Recentemente, una ricerca condotta dal Policlinico di Foggia ha dimostrato che questa sindrome ha una base scientifica nel cervello. Lo studio, realizzato dai team delle strutture di cardiologia universitaria e di medicina nucleare, è stato pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology: Cardiovascular Imaging.

La ricerca ha valutato l’attività funzionale del cervello attraverso la tomo-scintigrafia cerebrale su pazienti con sindrome del cuore infranto e sospetta demenza vascolare, rivelando caratteristiche peculiari a livello encefalico. Molte di queste pazienti sviluppano la sindrome in seguito a stress emotivo intenso e si presentano al pronto soccorso con sintomi simili a quelli di un infarto miocardico acuto. Tuttavia, a differenza dell’infarto, queste pazienti non mostrano ostruzioni al flusso sanguigno verso il cuore, non sviluppano cicatrici cardiache e le anomalie nella funzione cardiaca tendono a risolversi spontaneamente nel giro di settimane o mesi.

Il dott. Francesco Santoro, dirigente medico della struttura di cardiologia universitaria, ha spiegato che lo studio ha individuato una base funzionale a livello encefalico che predispone allo sviluppo della sindrome. Le pazienti affette hanno mostrato un aumento dell’attività metabolica nelle aree del cervello coinvolte nella sfera emotiva, come l’amigdala, l’ippocampo e il mesencefalo. Natale Daniele Brunetti, direttore della struttura di cardiologia universitaria, ha sottolineato che queste scoperte potrebbero portare a nuovi approcci terapeutici che includono trattamenti neurologici oltre a quelli cardiologici, in casi selezionati.

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