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Curiosità

Che cosa fa la Polizia scientifica e quali sono i requisiti per entrare

La Polizia scientifica è una unità specializzata all’interno delle forze di Polizia che si occupa di raccogliere e analizzare le prove fisiche e tecniche trovate in relazione a un crimine. Questo genere di attività include l’utilizzo di tecniche di indagine scientifica, come l’analisi del DNA, le impronte digitali, la balistica e l’analisi della scena del crimine, per aiutare a risolvere i casi.

La Polizia scientifica lavora in stretta collaborazione con gli investigatori e gli altri membri delle forze di Polizia per identificare i sospetti e presentare i risultati delle proprie ricerche in Tribunale. Nei prossimi paragrafi del nostro articolo conosceremo in maniera più dettagliata questa figura professionale.

Che Laurea serve per la Polizia scientifica

Per diventare un agente della Polizia scientifica nel nostro Paese, è necessario possedere una Laurea in materie scientifiche, come Chimica, Biologia, Fisica, Tecnologie Forensi o altre materie correlate.

La Laurea deve essere conseguita presso un’Università italiana o equiparata, ai fini del concorso per l’ammissione alla Scuola di Formazione del Personale delle Forze di Polizia, per poter così ottenere la qualifica di Agente di Polizia Scientifica.

Anche altre Lauree con una base scientifica, come Medicina legale o Ingegneria chimica, possono essere utili per diventare agenti della Polizia scientifica. Inoltre, per accedere ai concorsi è richiesta una formazione militare.

Quali sono i requisiti fisici per entrare in Polizia

Per diventare un agente di Polizia in Italia, ci sono requisiti fisici minimi che devono essere soddisfatti. Questi requisiti possono variare leggermente a seconda dell’ente di Polizia per il quale si intende prestare servizio. In generale, i requisiti fisici per diventare un agente di Polizia in Italia sono i seguenti:

  • Altezza minima. Per la maggior parte degli enti di Polizia, l’altezza minima richiesta per diventare un agente di Polizia è di 165 cm per gli uomini e di 150 cm per le donne.
  • Salute generale. Gli aspiranti agenti di Polizia devono essere in buona salute e in grado di sostenere un’adeguata formazione fisica.
  • Capacità visiva. La capacità visiva minima richiesta per diventare Agente di Polizia è di almeno 10/10 per entrambi gli occhi, senza correzione o con correzione minima.
  • Udito. L’udito deve essere normale e non deve essere inferiore al limite minimo consentito dalle Leggi sulla sicurezza sul lavoro.
  • Idoneità fisica. Gli aspiranti agenti di Polizia devono essere in grado di superare un test di idoneità fisica, che include prove di resistenza, forza e flessibilità.
  • Idoneità psico-fisica. L’aspirante agente di Polizia deve essere in grado di sostenere una valutazione psico-fisica, per verificare l’idoneità a svolgere le funzioni di Poliziotto.

È importante precisare che questi requisiti possono variare a seconda delle realtà territoriali e delle necessità specifiche degli enti di Polizia.

Chi ha i tatuaggi può entrare in Polizia?

In genere, non ci sono restrizioni specifiche sui tatuaggi per diventare un agente di Polizia. Tuttavia, ci sono alcune linee guida generali che tali professionisti devono seguire per quanto riguarda i tatuaggi.

I tattoo non devono essere visibili quando un agente indossa l’uniforme ufficiale della Polizia. Inoltre, i tatuaggi non devono contenere immagini offensive o contrarie all’immagine professionale della Polizia.

Quanto guadagna un agente della Polizia scientifica

Di solito, questi professionisti guadagnano uno stipendio affine a quello degli altri agenti di Polizia.

Nel nostro Paese, un agente di Polizia scientifica inizia con uno stipendio base di circa 1.200-1.500 euro al mese, che può aumentare con l’anzianità e la promozione a posizioni di maggior responsabilità. Un funzionario con una posizione più elevata, come un investigatore senior o un supervisore, può guadagnare fino a 2.000-3.000 euro al mese.

Occorre precisare che gli importi sono soggetti a variazioni a seconda delle singole realtà territoriali, delle trattenute previdenziali e contributive e degli eventuali benefici accessori.

Curiosità

SAI PERCHE…Il cioccolato si scioglie in bocca?

Vi siete mai chiesti come si produce il cioccolato? Qual è il processo che gli conferisce quella consistenza liscia, morbida e compatta? E perché si scioglie in bocca?

La consistenza del cioccolato è dovuta a una tecnica antica ma mai del tutto compresa: il conching, inventato in Svizzera alla fine dell’800. Il termine deriva dalla parola inglese per conchiglie, poiché la scodella utilizzata per il processo ricordava la loro forma. Il conching è una lunga lavorazione in cui cioccolato e burro di cacao vengono riscaldati, agitati e sfregati contro l’interno della ciotola, mentre si aggiungono ingredienti in un ordine preciso. Prima del conching, il cioccolato era granuloso e ruvido, più adatto a essere sgranocchiato che fatto sciogliere. Grazie a questo processo, è diventato quello che conosciamo oggi.

Ma cosa fa esattamente il conching? Elena Blanco e i suoi colleghi dell’Università di Edimburgo lo hanno spiegato in uno studio. Il processo trasforma una miscela disomogenea di particelle solide (zucchero, polvere di latte, frammenti di fave di cacao) e grassi (burro di cacao) in una sospensione liquida omogenea. Ci riesce ritardando il momento in cui nell’impasto si verifica un fenomeno detto jamming: quando si raggiunge una densità critica, il materiale diventa improvvisamente viscoso e non scorre più. Posticipando questo momento, il conching permette di ottenere una composizione altrimenti impossibile.

E perché il cioccolato si scioglie così facilmente sulla nostra lingua? La risposta è ancora una volta chimica: il cioccolato è una delle poche sostanze commestibili a fondere a circa 34 °C, appena sotto la temperatura del corpo umano. Questo rende il cioccolato una delizia che si scioglie perfettamente in bocca, regalando un’esperienza sensoriale unica.

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Curiosità

SAI PERCHE’… si sente il mare nelle conchiglie?

Fin dall’infanzia ci è stato insegnato che se mettiamo una conchiglia vicino all’orecchio possiamo sentire il suono rilassante delle onde del mare che si infrangono sulla riva. Questa immagine romantica della natura ha catturato l’immaginazione di molti, ma è davvero accurata?

Quando avviciniamo una conchiglia all’orecchio, non stiamo realmente ascoltando il mare. In realtà, ciò che percepiamo è una combinazione di suoni ambientali circostanti che vengono amplificati e modificati dalla struttura della conchiglia stessa.

Il fenomeno è spiegato dalla risonanza di Helmholtz: le onde sonore dell’ambiente investono la cavità della conchiglia, creando onde di risonanza che rimbalzano tra le pareti interne. Alcune onde vengono silenziate, altre amplificate, a seconda della forma e delle dimensioni della conchiglia. Questo processo produce un suono ovattato che può ricordare il costante movimento delle onde marine.

Non è solo la conchiglia a potenziare questi suoni: oggetti cavi come bottiglie o bicchieri possono creare effetti simili. La conchiglia agisce come una sorta di cassa di risonanza che modifica e amplifica i suoni ambientali, creando l’illusione del mare.

Quindi, se ascoltiamo il suono delle onde mentre siamo al mare e usiamo una conchiglia, in realtà stiamo udendo la risonanza del suono delle onde stesse. Tuttavia, lo stesso effetto non si verifica altrove, come in città o a casa.

In definitiva, il “suono dell’oceano” che percepiamo con una conchiglia non è tanto legato alla conchiglia in sé, ma piuttosto alla sua capacità di amplificare e modificare i suoni circostanti. È un fenomeno affascinante che ci ricorda la complessità e la bellezza delle onde sonore e della percezione sensoriale.

Quindi, se volete veramente godervi il suono delle onde, niente batte l’esperienza di essere sulla costa e lasciarsi avvolgere dalla magia del mare.

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Curiosità

SAI QUANTA…Uva serve per fare una bottiglia di vino?

Una bottiglia di vino da 0,75 litri, la dimensione più comune, richiede in media 1,2 kg di uva. Ma perché proprio questa misura di bottiglia? Esistono varie teorie al riguardo. La prima spiega che tutto dipendeva dalla forza polmonare degli antichi soffiatori di vetro, che riuscivano a creare bottiglie di questa capacità con un singolo fiato.

La seconda teoria ha radici nel commercio. Gli inglesi, che utilizzavano i galloni come unità di misura del volume, consideravano che una cassa di vino potesse contenere al massimo 2 galloni. Poiché una cassa poteva ospitare 12 bottiglie, ciascuna da 0,75 litri, questa misura divenne standard per motivi di tasse portuali e costi di trasporto.

Un’altra teoria suggerisce che la misura di 0,75 litri fosse ideale perché una bottiglia contiene esattamente 6 bicchieri da 125 ml, comunemente utilizzati nelle osterie. Questo permetteva agli osti di calcolare facilmente quanti bicchieri sarebbero stati serviti ai clienti in base al numero di bottiglie. L’uso del vetro per la conservazione del vino risale al XVIII secolo, quando si comprese l’importanza di questo materiale per preservare il gusto del vino.

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