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Cronaca

Palermo | La scalata di Rosario Castello, il fondatore di Zeus Car che forniva auto ai latitanti

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Settantadue anni, originario di Villabate, etichettato negli ultimi dieci anni come “socialmente pericoloso” dagli inquirenti che lo indagano da 26 anni. La confisca di 26 milioni di euro di ieri (7 marzo) rappresenta solo l’ultimo capitolo dell’annosa vicenda giudiziaria di Rosario Castello, il fondatore di Zeus Car, la concessionaria di auto di lusso usate che è ben nota a Palermo. Già nel 1998, Castello era stato condannato per il suo coinvolgimento in un’associazione a delinquere di stampo mafioso. Secondo i giudici, erano sue le auto su cui si spostava durante la sua latitanza Lorenzo Tinnirello, boss di corso dei Mille. Gli incontri tra i membri dell’organizzazione criminale avvenivano nella concessionaria di via Messina Marine, sulla costa sud. Il suo curriculum lo ha spesso visto associato alla mafia, grazie alle testimonianze di importanti collaboratori di giustizia come Emanuele e Pasquale Di Filippo, Giovanni Drago, Pietro Romeo, Salvatore Spataro e Agostino Trombetta. Dieci anni fa, nel dicembre del 2014, il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Palermo aveva già sequestrato il patrimonio di Rosario Castello, comprese le ville di Città Giardino e una serie di immobili tra il capoluogo, Villabate, Misilmeri e Altavilla Milicia. Inoltre, erano stati sequestrati conti bancari e buoni fruttiferi per un valore di 800mila euro. A Villabate, il suo paese natale con cui ha sempre mantenuto un legame, Castello aveva acquistato una fabbrica di un ex pastificio ed era proprietario di un locale che ospitava un grande supermercato. Castello viene considerato “soggetto a disposizione della famiglia mafiosa di Brancaccio-Corso dei Mille alla quale, nelle sua veste di commerciante di autoveicoli avrebbe procurato, in passato, le auto “pulite””. Nel corso degli anni, era diventato il leader dell’importazione di auto di lusso dalla Germania, in particolare Porsche e Mercedes. Dalle indagini della Guardia di Finanza è emersa “un’evidente discrepanza tra i redditi dichiarati e le numerose acquisizioni patrimoniali e societarie effettuate nel tempo dalla famiglia di Castello”. In particolare, gli inquirenti hanno scoperto che le disponibilità economiche dichiarate dal settantaduenne non avrebbero permesso di effettuare gli investimenti realizzati, tanto da far sospettare che il gruppo imprenditoriale sia stato finanziato, almeno in parte, con i proventi derivanti dai legami con i clan.

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