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Abruzzo

I soldi del narcotraffico ripuliti e trasferiti in Cina: 33 arresti, anche a Reggio Calabria

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I soldi del narcotraffico di Roma affidati a un gruppo di cinesi che aveva come base nel quartiere dell’Esquilino che, a loro volta, riciclavano il denaro e lo ripulivano attraverso attività di import-export, negozi di abbigliamento/accessori e una fitta rete di broker locali. Una “lavatrice” capace di gestire un giro d’affari da oltre 50 milioni di euro. Un maxi blitz con elicotteri che hanno sorvolato dalle cinque del mattino di oggi, 4 ottobre, le zone di Tor Bella Monaca e soprattutto dell’Esquilino.

A ricostruire il sistema è stata la procura di Roma insieme al comando provinciale di Roma che ha eseguito a Roma, L’Aquila, Reggio Calabria, Napoli, Perugia, Ancona e Campobasso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per 22 persone e agli arresti domiciliari per 11 persone. Le ipotesi di reato sono quelle di associazione delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e al riciclaggio, oltre che per i reati di estorsione, autoriciclaggio e detenzione abusiva di armi.

Due i gruppi ben distinti che lavoravano. Uno, quello dei cinesi e che gestiva le fasi del riciclaggio coordinati da  Wen Kui Zheng. L’altro, invece, era composto da due sotto insiemi, due compagini criminali di “alto livello”, così li definiscono gli investigatori della finanza: la prima capeggiata da Antonio Gala e Fabrizio Capogna, l’altro da Federico Latini.

I negozi cinesi come “lavatrici”

Il sistema si basava tutto sul riciclaggio. Le attività di “ripulitura” del denaro avvenivano in negozi e magazzini di import-export di abbigliamento e accessori di moda, tutte gestite da due comunità familiari cinesi nel quartiere Esquilino della Capitale. Tali esercizi, esistenti solo formalmente, fungevano in realtà da centri di raccolta del denaro dei Narcos poi destinato a essere trasferito all’estero, prevalentemente in Cina, in maniera anonima e non tracciabile.

La tecnica del “denaro volante”

La tecnica era collaudata. Come hanno ricostruito gli investigatori si basava sulla “puntualità, discrezionalità e sicurezza, garantita dalle performance” dei cittadini cinesi coinvolti. Di fatto il tutto si fondava sul metodo ‘Fei Ch’ien’, ossia “denaro volante”. In sostanza il sistema consiste nel trasferimento virtuale del denaro all’estero. Il denaro depositato presso il broker cinese non lasciava fisicamente il paese di partenza, venendone invece trasferito il solo valore nominale all’altro broker presente nel paese estero.

La successiva compensazione poteva avvenire con modalità diverse quali, tra le altre, il ricorso a corrieri di valuta, bonifici diretti di importo frazionato per aggirare i vincoli antiriciclaggio, anche sulla base di operazioni commerciali fittizie. In sintesi, il sistema era metodico.

Prima la raccolta in contanti del denaro provento del narcotraffico in una attività commerciale cinese di copertura all’Esquilino. Poi l’attribuzione di un codice convenzionale concordato tra le parti in occasione del versamento e conteggio del denaro. Quindi la fase del riciclaggio che prima del Covid avveniva tramite “spalloni”, ossia persone che fisicamente portavano il denaro in Cina con molti viaggi, dopo la pandemia invece con pagamenti di fittizi documenti fiscali o triangolazioni tra operatori cinesi in più Stati, ovvero attraverso il ricorso alla compensazione finanziaria a opera di un broker, appunto il metodo del “denaro volante”, il ‘Fei Ch’ien’.

Il capo della “lavatrice” dell’Esquilino

Le indagini hanno permesso di individuare in Wen Kui Zheng, 55 anni, il vertice dell’organizzazione dedita al riciclaggio nonché di promotore del sodalizio composto da numerosi individui legati tra loro anche da vincoli di parentela, tutti incaricati di curare le varie fasi di raccolta e trasferimento illegale di valuta verso l’estero. Lo stesso Zheng si adoperava costantemente per reclutare nuovi associati e prendere accordi diretti con numerosi clienti, tutti nel mondo dello spaccio romano e della ‘Ndrangheta. Secondo le indagini offriva, inoltre, supporto logistico ai corrieri di valuta, per conto dei quali pianificava e organizzava dettagliatamente i viaggi aerei con cui trasportare il denaro contante all’estero allo scopo precipuo di eludere i controlli alle frontiere. 

Affari da oltre 50 milioni

Il tutto per una commissione intorno al 5% del denaro riciclato. E il giro d’affari era notevole. Nel complesso, sono state tracciate movimentazioni finanziarie per oltre 50 milioni di euro, dirette dal territorio nazionale verso la Repubblica Popolare Cinese. Ma non solo. Durante le indagini sono stati sequestrati circa 10 milioni di euro, di cui 8 milioni di euro all’aeroporto Leonardo da Vinci, nei confronti dei “money mule” (i corrieri del riciclaggio) incaricati di trasferire fisicamente il denaro fuori dall’Italia. Sono stati anche accertati conferimenti di denaro di provenienza illecita in favore della compagine cinese di stanza a Roma per oltre 4 milioni di euro.

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