Attualità
Scoperta rivoluzionaria sull’emicrania: il ruolo delle proteine nel mal di testa
La recente scoperta dell’origine dell’emicrania da parte dei ricercatori dell’Università di Copenaghen rappresenta un passo significativo nella comprensione di questa patologia debilitante. Secondo lo studio pubblicato su Science, durante un attacco di emicrania, il cervello produce specifiche proteine che agiscono su una zona alla base del cranio. Questa area funge da “porta di accesso” per le proteine nel sistema nervoso periferico, dove possono attivare i nervi sensoriali responsabili del dolore, scatenando così il mal di testa caratteristico dell’emicrania. Il meccanismo scoperto spiega anche perché l’emicrania tende a colpire solitamente un solo lato della testa, un aspetto che fino ad ora era rimasto inspiegato. Le proteine non si diffondono uniformemente nel cervello, ma agiscono prevalentemente sul sistema sensoriale del lato in cui sono state prodotte. Lo studio ha identificato variazioni significative in specifiche proteine nel liquido cerebrospinale di topi durante gli attacchi di emicrania, di cui un sottoinsieme, incluso il Cgrp già noto, è capace di attivare i nervi sensoriali. Questi risultati non solo forniscono una nuova prospettiva sulla biologia dell’emicrania, ma potrebbero anche aprire la strada a nuove terapie mirate. I ricercatori ora mirano a identificare quale delle proteine individuate ha il maggior potenziale terapeutico, procedendo con studi sugli esseri umani per determinare se l’esposizione a queste sostanze può effettivamente scatenare gli attacchi di emicrania. L’emicrania, caratterizzata da un dolore acuto o pulsante solitamente su un lato della testa, è una delle forme più comuni di mal di testa e può manifestarsi con sintomi variabili da individuo a individuo. È classificata dall’Organizzazione mondiale della sanità come una delle patologie più disabilitanti per l’umanità, con una prevalenza significativamente maggiore nelle donne rispetto agli uomini. In Italia, l’emicrania interessa circa il 25% della popolazione, con una percentuale che sale al 33% nel sesso femminile. Questi dati evidenziano l’importanza di continue ricerche e di nuove strategie terapeutiche per migliorare la qualità della vita delle persone colpite da questa condizione invalidante.
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