Cronaca
Palermo | Romano, ucciso lunedì scorso allo sperone, era sotto controllo. Ecco alcune intercettazioni
Giancarlo Romano, l’uomo di 40 anni, che è stato ucciso a colpi di pistola la scorsa settimana in via XXVII Maggio, allo Sperone, aveva una visione chiara delle cose, comprendeva bene il contesto difficile non solo all’interno di Cosa Nostra, ma anche a Palermo in generale, descrivendo la situazione come “misera” e caratterizzata da un senso di abbandono. Egli comprendeva che mentre alcune persone rischiano molto per piccole somme di denaro, altri gestiscono affari multimilionari con rischi relativamente bassi.
Secondo le intercettazioni dei Carabinieri, Romano era considerato un individuo di spessore, sfuggito spesso alle indagini, ma che sarebbe stato arrestato stamattina insieme ad altre 9 persone nell’ambito di un’operazione antimafia. L’ordinanza emessa dal giudice Conti, su richiesta del procuratore aggiunto Sabella e dei sostituti Mazzocco, Brucoli e Brandini, ha svelato il ruolo di vertice di Romano nella famiglia di corso dei Mille, nonché il suo coinvolgimento nell’estorsione, nel traffico di droga e nel gioco d’azzardo clandestino.
Oltre alla sua attività criminale, le parole di Romano permettono di comprendere meglio il cambiamento in atto all’interno di Cosa Nostra. Sebbene la vecchia organizzazione sia in declino, Romano esprimeva un attaccamento agli ideali tradizionali, distinguendosi dalla delinquenza comune che porta problemi di ordine pubblico. Romano non tollerava il coinvolgimento dei giovani in attività criminali e si opponeva alla confusione tra delinquenza comune e valori tradizionali di Cosa Nostra. La sua speranza era che questi ideali non si perdessero mai.
“Se parli di rapine, devi parlare di rapine serie”, affermava Giancarlo Romano, esprimendo il suo disprezzo per la delinquenza comune. Secondo lui, certe azioni criminali devono comportare rischi significativi, al punto da mettere in gioco persino la vita. Affermava che certi crimini non rientravano nei suoi principi e valori, e ribadiva che era contrario alla partecipazione dei giovani a tali attività.
Romano sottolineava che, nonostante le esperienze possano modellare il carattere di una persona, i valori fondamentali rimangono costanti. Lamentava il deterioramento della situazione a Palermo, evidenziando il basso livello di moralità e la facile collaborazione con le autorità da parte di alcuni criminali. Esprimeva la speranza che le cose potessero cambiare, ma era consapevole dei rischi e delle sofferenze che la sua scelta di vita comportava per coloro che gli stavano vicino.
Pur riconoscendo di non essere al livello dei grandi affari mondiali, Romano aspirava a un certo grado di potere e influenza. Auspicava un ritorno a valori più tradizionali all’interno di Cosa Nostra e criticava la mentalità materialistica e superficiale che sembrava dominare la criminalità comune.
Infine, invitava i suoi interlocutori a riflettere sulle lezioni di vita fornite anche da opere cinematografiche come “Il Padrino”, sottolineando l’importanza di guardare oltre le apparenze e comprendere il vero significato di ciò che si vede.
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